Moda, alla ricerca del Museo che non c’è
Tra le numerose iatture provocate dall’emergenza Covid-19 vi è anche quella di non permetterci di visitare, se non virtualmente, i meravigliosi musei di cui il nostro Paese è ricco, né le innumerevoli mostre che ovunque in primavera sbocciano come fiori.
Si prenda ad esempio la squisita rassegna “Memos” (sottotitolo: “A proposito della moda in questo millennio”), ideata e curata da Maria Luisa Frisa al Museo Poldi Pezzoli di Milano, realizzata dalla Camera della Moda in collaborazione con il Museo stesso, con il supporto del Ministero degli Esteri, di ICE Agenzia e del Comune di Milano. La Frisa ha voluto coinvolgere nel progetto anche Judith Clark per l’exhibition making e Stefano Tonchi per la parte visual.
Il progetto, che ha prodotto anche un bel catalogo, è stato concepito per suscitare una serie di riflessioni critiche sulla moda contemporanea, sulle sue qualità e sui suoi attributi, traendo ispirazione dalle “Lezioni Americane” di Italo Calvino (un libro che ha sempre fornito stimoli intellettuali a chiunque in ogni contesto). Il titolo della mostra “Memos” deriva proprio da quello originale del libro calviniano: “Six Memos for the Next Millennium”.
Quale luogo meglio del Poldi Pezzoli poteva ospitare un tale evento dopo essere stato teatro di altre significative esposizioni come quella di Grazietta Butazzi del 1980 sulla moda italiana nel periodo 1922-1943? Non a caso “Memos” vede la presenza anche di alcuni abiti scelti dalla Butazzi, caratterizzandosi quindi per essere un cantiere aperto, ma anche l’espressione di un approccio poetico e razionale allo stesso tempo: pratica “di ricerca e di progettazione, di scoperta e invenzione” in un campo – la moda – che è divenuto uno dei driver del made in Italy e uno dei sistemi più potenti a livello comunicativo, economico e culturale.
Secondo la curatrice, “era molto importante riaccendere una luce su questo luogo e sulle occasioni mancate del museo della moda in Italia, un’istituzione che sicuramente manca in questo momento in cui la cultura della moda è uno dei volani principali rispetto all’importanza della moda come piattaforma culturale delle discipline della contemporaneità”.
La mostra diventa così l’occasione per riflettere su tutto ciò rivedendo le mirabili creazioni di celebri griffe da Armani a Valentino, da Gucci a Fendi. Ma essa ospita capi di quasi tutti i nomi storici del fashion system italiano tra cui Versace, Moschino, Salvatore Ferragamo, Marni, Prada, Giambattista Valli, Moncler. Presenti anche abiti di Maison Margiela, Chanel, Randon Identities, Loewe, Balenciaga, Burberry, Dior; e sono pure esposti alcuni modelli disegnati dai rappresentanti della new wave milanese quali Gabriele Colangelo, Arthur Arbesser, Fausto Puglisi, Msgm e Marco de Vincenzo.
La domanda fondamentale intorno a cui ruota tutta la rassegna resta: “Quali sono i valori della moda che permangono in questo millennio?”. Ma più che offrire risposte, “Memos” moltiplica le domande come in un gioco di specchi, per stimolare il più possibile l’esercizio del pensiero.
E a proposito dell’idea di istituire hic et nunc a Milano un museo dedicato alla moda, Maria Luisa Frisa ha ribadito: “Il museo è importante perché è luogo di identità di una Nazione, soprattutto in un momento in cui l’Italia rischia di perdere la sua centralità nel sistema moda, diventando solo produttore in un momento in cui i nomi della moda italiana non sono più italiani. È necessario ricostruire una linea italiana della moda, ricordare perché siamo importanti all’interno di un sistema globale i cui autori provengono da tutte le parti del mondo e l’Europa non è più rilevante come un tempo.”