Moda e arte, a braccetto ma non troppo
Dalle grandi maison che sponsorizzano gallerie d’arte, agli stilisti di successo che creano musei dedicati alle proprie creazioni: sempre più spesso il fashion si fonde con le belle arti, eppure permangono le differenze tra i due settori. La decima edizione del Convegno Internazionale Modacult ha discusso sui fenomeni di contaminazione tra il lavoro del creativo e quello del designer
Moda e arte, un binomio sempre più stretto, ma sempre più discusso. Se da una parte, infatti, il rispetto di regole formali ordinate alla creazione estetica le accomuna, dall’altra la natura commerciale del fashion si contrappone alla libertà di espressione artistica.
Al tema del rapporto tra arte e moda è stata dedicata la decima edizione del Convegno Internazionale Modacult, che si è svolto, lo scorso maggio, a Milano, presso l’università Cattolica del Sacro Cuore.
Tra forme di mecenatismo – grandi case di moda che creano e sponsorizzano gallerie d’arte- e fashion designer di successo, come Giorgio Armani e Valentino, che danno vita a musei dedicati alle proprie creazioni, crescono gli esempi di contaminazione tra moda e arte, dando vita al fenomeno dell’ “artificazione”, che punta ad aumentare il prestigio di una forma culturale.
Ma in che misura la moda puo’ definirsi arte?
“La moda utilizza il lavoro degli artisti, traendone ispirazione”, ha spiegato Enrica Morini, docente presso lo Iulm di Milano, ricordando, in proposito, la sfilata con cui John Galliano, direttore creativo di Christian Dior, ha omaggiato lo stilista, per celebrare i 60 anni della maison. Per l’occasione, le modelle hanno sfilato alla Orangerie de Versailles, con abiti ispirati alle tele di Picasso, Caravaggio, Renoir, Goya, Rembrandt, Monet, Boldini, Goya e Velasquez, Botticelli, Michelangelo e Leonardo da Vinci. “Galliano ha operato una sorta travestimento per collocare il modello in un’opera d’arte”, ha sottolineato la Morini.
Un altro esempio che attesta il legame tra arte e moda è quello del sodalizio professionale che si instaurò, verso la fine degli anni venti, tra Thayaht, pittore e scultore toscano, ricordato come l’inventore della tuta, e Madeleine Vionnet, creatrice di una delle più prestigiose maison di moda francese, per la quale l’artista disegnò abiti con ricche combinazioni geometriche e azzardati accostamenti cromatici: sono pellicce, abiti da sera, tenute sportive, costumi da bagno. Ma se l’elemento creativo ed estetico permette una facile contaminazione tra arte e moda, esiste un ulteriore aspetto che fa da discriminante fra i due campi.
“La principale differenza tra la moda e le belle arti è l’utilità: i fashion designer creano artefatti pensati per essere utili, anche se l’utilità di alcuni tipi di abiti è abbastanza limitata” ha spiegato Diane Crane, docente presso la University of Pennsylvania.
Questa differenza è rappresentata nella cosiddetta Clothes Art, in cui gli artisti che disegnano i vestiti come opere d’arte non sono interessati agli aspetti utilitari o commerciali di questa attività. Un esempio è il “wobbly dress” creato da Caroline Broadhead, una creazione di pannelli di nylon contorti tra le cuciture.
Il fashion design, ha fatto notare ancora Diane Crane, generalmente non viene percepito come arte da collezionisti e case d’aste. Se le opere d’arte raggiungono quotazioni astronomiche, normalmente gli abiti dei designer sono valutati meno di 10 mila euro, a meno che non si tratti di un capo indossato da una celebrità. Uno degli abiti di Givenchy indossato da Audrey Hepburn in Colazione da Tiffany, per esempio, è stato battuto all’asta da Christie’s, a New York, per oltre 680 mila euro.