Moda in Borsa
Nel giro di poche settimane sono giunti ben tre annunci di quotazioni borsistiche di importanti aziende di moda. Dopo Prada a Hong Kong, infatti, è stata la volta di Moncler e di Salvatore Ferragamo a Milano. Ora si vocifera di altre potenziali Ipo, ma i rumours attendono conferme. Scopo del collocamento in listino è quello di favorire una crescita robusta, modernizzare e strutturare meglio le società, raccogliendo risorse fresche sul mercato con cui evitare l’oneroso ricorso al credito bancario e l’assottigliamento dei mezzi propri.
Comunque, restano pur sempre poche, troppo poche, le imprese italiane del fashion system che scelgono di quotarsi in Borsa. Anche quelle di maggiori dimensioni stentano a compiere tale passo, timorose di dover sopportare spese eccessive, di perdere il controllo da parte dei soci tradizionali (spesso un’unica famiglia), di essere sottoposte a severe ispezioni, di dover presentare informative periodiche dettagliate: di rendersi trasparenti, in sostanza. Riusciremo noi di “IMORE”, con un modesto articolo, a far sì che gli imprenditori della moda guardino con meno pregiudizi e paure alle enormi opportunità e potenzialità che dischiude una simile operazione? Molto probabilmente no. Nondimeno ci proviamo.
La quotazione, di fatto, va intesa come uno strumento ideale per accedere direttamente al mercato dei capitali, essendo la Borsa una fonte continuativa di fondi, in grado non tanto di sostituire le altre risorse finanziarie (comunque necessarie alla dinamica aziendale), quanto di svincolare l’impresa dalle rigidità congiunturali del mercato creditizio e dalla relativa limitatezza delle disponibilità finanziarie del gruppo di controllo. Sul piano strategico-finanziario, la quotazione va considerata come mezzo per giungere “in esclusiva” a speciali categorie di titoli (ad esempio, le azioni di risparmio) o per dotare di maggiore appetibilità tutti gli altri strumenti mobiliari, come le obbligazioni ed i warrant. La quotazione qualifica tutte le iniziative di finanza straordinaria anche grazie alla migliore immagine acquisita dalle società, per effetto della loro quotidiana iscrizione nei listini ufficiali. A ciò si aggiunge la maggiore forza contrattuale che le aziende possono vantare nei confronti non solo della comunità finanziaria, ma anche dei fornitori e dei clienti e perciò anche del mercato dei loro prodotti, dove dispongono di un vantaggio competitivo sui concorrenti. Ancora, alla società quotata è riconosciuta una superiore forza attrattiva nei confronti delle risorse umane più qualificate.
D’altra parte, va detto che la quotazione comporta anche vincoli ed impegni, fra cui la necessità di conseguire un utile nella misura attesa dal mercato e di distribuirne una parte (pena ribassi dei titoli e deterioramento dell’immagine). Purtroppo, soprattutto nei mercati meno selettivi come quello italiano, non sempre l’andamento dei corsi è limpido, cioè motivato da politiche aziendali, bensì riflette tendenze internazionali (vedasi la scelta di Prada di collocarsi direttamente a Hong Kong anziché a Piazza Affari). Ma l’impegno più oneroso che la quotazione comporta consiste indubbiamente nell’ampia informativa richiesta alle società in listino, sia con cadenza periodica (bilancio di esercizio, bilancio certificato, bilancio consolidato, relazione semestrale), sia in occasione delle singole operazioni di finanza straordinaria.
Le modalità di realizzazione della quotazione sono essenzialmente tre:
– quotazione alla Borsa Valori nazionale, tipica di imprese finanziariamente mature che desiderano aprirsi nuove opportunità;
– quotazione in un mercato parallelo (il cosiddetto mercato ristretto), riferibile a medie imprese orientate alla crescita dimensionale;
– quotazione in una Borsa estera, che rappresenta la forma più avanzata di penetrazione nella “fase finanziaria” del ciclo di vita aziendale.
Sotto il profilo finalistico, la quotazione si pone come un’efficace soluzione di integrazione e diversificazione produttiva, sia perché consente di acquisire dal mercato mezzi finanziari quantitativamente e qualitativamente idonei a realizzare programmi di specializzazione operativa o di ingresso in nuovi mercati, sia perché permette di stringere alleanze tramite lo scambio di titoli. Da un punto di vista prettamente economico si verifica, nella sezione delle attività, un incremento del capitale investito, e ciò costituisce la risultante delle operazioni di crescita attuabili con la quotazione, oltre che la risultante dei nuovi programmi di investimento. Nell’altra sezione dello stato patrimoniale la quotazione provoca i maggiori effetti: innanzitutto, si introduce uno strumento per contenere l’indebitamento e quindi per limitare il rischio aziendale, incrementando così la flessibilità dell’impresa (che è la miglior risposta alla competitività ed alla turbolenza). Il controllo dell’indebitamento si realizza sia per l’immediata sostituzione delle risorse mutuate da terzi con i nuovi mezzi finanziari raccolti dal mercato, sia, in prospettiva, per il minor ricorso al sistema creditizio a seguito della più consistente patrimonializzazione dell’impresa. Ma quest’ultimo aspetto, insieme allo status della quotazione, forma le condizioni che pure attribuiscono all’azienda un migliore standing creditizio, cioè una maggiore capacità di credito. Insomma, tutto spinge alla crescita, accelerandola e qualificandola. In questo contesto anche il principale indicatore della performance dell’azienda, cioè il reddito distribuibile, non può che svilupparsi: da un lato, esso beneficia dei minori oneri finanziari derivanti dal ridotto indebitamento; dall’altro, si incrementa grazie ai processi di integrazione, diversificazione ed internazionalizzazione messi in atto con le nuove risorse acquisiste.
Allora, care aziende fashion, vogliamo ripensare alla quotazione?