MONCLER “scalda” Piazza Affari e diventa sempre più globale
Prima Ferragamo nel 2011, poi Cucinelli nel 2012, da ultimo Moncler a fine 2013 ha debuttato alla Borsa di Milano. Ed è stato subito exploit. Il primo giorno di contrattazione il titolo ha guadagnato oltre il 40%, superando di gran lunga il prezzo di collocamento già fissato al massimo, dopo il boom di ordini durante l’Offerta Pubblica Iniziale (la domanda ha sorpassato di 31 volte l’offerta). Vale a dire che al termine della seduta la celebre azienda dei piumini colorati valeva un miliardo di euro in più (3,6 miliardi circa).
Tra quanti si sono aggiudicati le azioni Moncler figurano anche prestigiosi nomi della moda, da Zegna a Renzo Rosso, da Loro Piana a Ferragamo e, ça va sans dire, il “tentacolare” Arnault di LVMH, oltre ad autorevoli fondi di private equity ed importanti fondi sovrani “appassionati” di fashion (Qatar, Abu Dhabi, Singapore, Cina). Il segnale è chiaro e forte: se investitori di lungo periodo come questi danno prova di credere nel valore del made in Italy, significa che il futuro della nostra moda promette bene. A condizione – va aggiunto – che il sistema si mantenga flessibile e punti sempre più sulla qualità assoluta (nelle materie prime, nel design, nella lavorazione, nel marketing, ecc.).
Anche la partenza col botto di Moncler a Piazza Affari conferma dunque la potenza dei brand fashion in un mondo globalizzato dove il mercato del lusso continua a crescere vigorosamente, trainato da colossi come la Cina, la cui classe media emergente è sempre più bramosa di status symbol d’alta gamma. E’ comunque plausibile e forse fisiologico che la “corsa” degli investitori ai titoli dell’azienda di Remo Ruffini, a prescindere da qualsiasi rischio di bolla, possa rallentare nei prossimi mesi, ma la dimostrazione dell’appetibilità dei marchi noti è sotto gli occhi di tutti, tanto più in un anno come il 2013 in cui, malgrado la crisi nera, il business del lusso ha marciato in controtendenza.
Alla domanda sul perché abbia deciso di quotarsi a Piazza Affari, il Ceo di Moncler ha risposto: “Ci abbiamo già provato nel 2011, ma non ce l’abbiamo fatta. È una cosa importante, lo dimostra l’esperienza di alcune aziende del nostro settore, da Ferragamo a Cucinelli a Prada, che dopo la quotazione hanno cambiato faccia: si acquisisce una visibilità diversa, si attraggono risorse umane di qualità, si diventa più aperti e trasparenti, si formano cda internazionali. Un’azienda non deve essere fatta da una persona, ma da un team, e la Borsa ti permette di costruire un team di livello”.
Fondata nel 1952 in Francia a Monestier de Clermont (donde l’acronimo Moncler), l’azienda fabbricava in origine sacchi a pelo imbottiti, per poi convertirsi alla produzione di piumini tecnici per l’alta montagna. Erano Moncler, ad esempio, i capi indossati dai partecipanti alle grandi imprese alpinistiche, a cominciare nel 1954 dalla spedizione italiana sul Karakorum, culminata nella conquista della seconda vetta più alta del mondo, il K2, da parte di Achille Compagnoni e Lino Lacedelli. Il logo del galletto risale ai Giochi Olimpici Invernali del 1968 a Grenoble. Negli anni ’80 il piumino dalla montagna discese in città, riscuotendo un clamoroso successo, in particolare divenendo la divisa di ordinanza dei cosiddetti “paninari”. Nel 1992 Moncler divenne un brand italiano grazie a Pepper Industries e, dopo alterne vicende, nel 2003 venne acquisito dall’imprenditore comasco Remo Ruffini, che ne fece un brand globale. Poi nel 2011 il primo azionista divenne il fondo francese Eurazeo (45%); mentre a Ruffini a restò il 32% e al gruppo Carlyle 17,8%.
Riguardo alla sua decisione strategica di investire in un label d’oltralpe e di puntare sul lancio globale di “una giacca che andasse bene al ragazzo con lo skateboard e alla signora che va alla Scala” (sic), Ruffini ha affermato: “Nel 2003 ero alla ricerca di un marchio già esistente, vero, con una storia e un’idea da raccontare, e per me non c’era niente di più forte di Moncler, che aveva già cinquant’anni alle spalle e aveva inventato un prodotto partendo dai sacchi a piuma. Il prodotto esprime sempre da sé i tuoi valori, non c’è bisogno di raccontarsela tanto. Leggerezza, calore, eleganza, viaggio, funzione d’uso: sono queste le nostre parole chiave. Penso ai 180 grammi del nostro recente piumino estivo, alla morbidezza di quando lo prendi in mano, a come ti tiene caldo, al fatto che puoi viaggiare e tenerlo comodamente in una borsa, senza che si stropicci. È molto facile da trasportare, diversamente da un cappotto. Potremmo fare “brand extension”, creare anche mille prodotti con il nostro logo, ma preferiamo farne pochi, rimanere concentrati, vicini a chi siamo noi, alla storia della marca. Se vuoi conquistare il mondo devi avere un linguaggio molto semplice e devi raccontare una storia comprensibile a consumatori sparsi in tutto il mondo. Abbiamo puntato subito alla qualità eccellente, e pian piano ci stiamo arrivando”.
E’ sperabile e forse già prevedibile che nel 2014 altre aziende italiane del lusso seguano l’esempio di Moncler e sbarchino a Piazza Affari. Del resto, a detta degli analisti finanziari, il settore del lusso macina performance formidabili e gli operatori, sia italiani che stranieri, hanno molto da investire in tale comparto. Non a caso le maggiori Ipo attese nei prossimi mesi riguarderanno proprio società del lusso. Ciò detto, ci sia consentito anche auspicare che finalmente nella moda italiana si riesca a fare vero gioco di squadra con la creazione di “giganti” in grado di competere con Lvmh e Kering. Quante opportunità straordinarie potremmo cogliere! Ma questa è un’altra storia…