MOSAICO: quando l’arte fa vedere oltre
“… essere anche noi come tessere del grande mosaico di santità che Dio va creando nella storia” (Benedetto XVI).
La parola mosaico ha un sapore antico ed evoca suggestioni estetiche lontane, ma da qualche tempo questa forma d’arte sta conoscendo una nuova vita come strumento espressivo versatile, con una gamma infinita di materiali e colori da sperimentare, e con una molteplicità di applicazioni nel design/arredo di pregio, sicuramente di grande effetto. Anzi, proprio grazie alla tecnica del mosaico, si sono aperti nuovi orizzonti di sperimentazione e spazi plurimi di esplorazione per la progettazione architettonica e grafica.
Mi piace ricordare, al riguardo, l’eccellenza di un’azienda come Bisazza, che del mosaico ha fatto la sua raison d’être e il suo core business. Radicata da sempre ai valori dell’alta artigianalità sin dalla nascita nel 1956, la società con sede a Montecchio Maggiore-Alte Ceccato (Vicenza) è uno dei marchi del lusso più noti al mondo nel suo settore, specializzata nella creazione di mosaici in vetro colorato di grande raffinatezza, di utilizzo sia interno che esterno. Nel corso del tempo Bisazza ha differenziato, ampliandole, le sue collezioni grazie anche all’utilizzo di nuovi materiali e la collaborazione con prestigiosi designer, proponendo così innovative soluzioni di design in cui si coniugano talento manuale e somma creatività, gusto contemporaneo e cultura classica.
Di grande pregevolezza e pregnanza di valori, notevole interesse e forza di suggestione, è quel luogo da fiaba che è la Fondazione Bisazza – sospesa tra il senso di incanto e stupore di Alice nel Paese delle Meraviglie, lo spirito di ricerca e scoperta del Mago di Oz, la riflessione sul senso della vita e dei sentimenti del Piccolo Principe – una vasta sede espositiva sorta nel 2012 per volere della famiglia e realizzata su progetto dell’arch. Carlo Dal Bianco, dove il mosaico dialoga continuamente con opere d’arte permanenti e temporanee, spaziando tra foto, sculture, bellezze naturali, su un’area di quasi 8000 mq. La Fondazione, che sin dalle origini si è offerta al pubblico sia come scrigno di mostre sia come produttore di cultura a 360°, vanta un’ampia collezione di installazioni di cui sono autori grandi designer internazionali come Tord Boontje, Aldo Cibic, Sandro Chia, Jaime Hayon, Arik Levy, Alessandro Mendini, Fabio Novembre, Mimmo Paladino, John Pawson, Andrée Putman, Ettore Sottsass, Studio Job, Patricia Urquiola e Marcel Wanders, la Maison Emilio Pucci, solo per citarne alcuni.
Il mosaico (letteralmente “opera delle Muse” in greco) si sviluppò presso le civiltà mesopotamiche e conobbe un grande sviluppo nel periodo ellenistico-romano, in cui si standardizzarono diversi procedimenti per pavimentazione e rivestimenti parietali. Ma è nel periodo bizantino che l’arte musiva raggiunse le più alte finalità espressive: a Bisanzio, a Ravenna, a Roma, a Venezia, in Sicilia, il mosaico conquistò vette di assoluto splendore.
Mario Praz scriveva: “La fortuna dei mosaici è […] in parte una conseguenza dello stupore che provoca l’enorme mole di lavoro che sta dietro la realizzazione di ciascun pezzo. I tempi lunghi (talora anni) che esigeva l’esecuzione non scoraggiavano gli artisti (o piuttosto artigiani, dato il carattere prevalentemente manuale del lavoro)”.
Si tratta di una tecnica che, sfaccettando e moltiplicando le vibrazioni del colore, conferisce alle figurazioni un carattere lucente ed una bellezza irreale, proprio per la natura dei suoi mezzi che negano la plasticità a favore della bidimensionalità. Il mosaico, astraendo e immobilizzando cose e persone in un’atmosfera dilatata dalla luce e dal colore, conferisce alle scene una notevole spiritualità e una nobiltà preziosa. Alberto Angela visitando le splendide chiese di Ravenna ha commentato che “i mosaici fanno alzare gli occhi al Cielo”.
Le prime testimonianze di un mosaico a tessere a Roma risalgono alla fine del III secolo a.C., ma fu nel tardo periodo imperiale che tale arte raggiunse il suo apice, come hanno testimoniato i numerosi ritrovamenti archeologici. Nel 1727 venne istituito lo Studio Vaticano del Mosaico, i cui eccellenti artisti/artigiani disponevano di circa 28mila varietà di colore. Il commesso fiorentino, su un altro fronte, è una tecnica che riprende l’antica arte dell’opus sectile (lavorazione a intarsio con pezzi di marmo), la cui tecnica venne perfezionata nel 1588 grazie a Ferdinando I de’ Medici con l’istituzione dell’Opificio delle Pietre Dure, dove le tecniche di lavorazione del mosaico sono rimaste invariate dalla fine del XVI secolo ad oggi. Il micromosaico romano invece, è iniziato nel tardo ‘700 ed è considerato una forma d’arte “minore” che utilizza materiali vitrei e lapidei non preziosi. Intorno al 1775 Giacomo Raffaelli e Cesare Aguatti inventarono la tecnica degli “smalti filati” con i quali vennero realizzati i primi “micromosaici”, particolarmente apprezzati in gioielleria. Tra la fine del ‘700 e la metà dell’800 l’Italia venne inserita nel Grand Tour, i cui protagonisti, pur di rientrare in patria con un pezzo del nostro Paese, acquistavano e commissionavano micromosaici a profusione. I soggetti più richiesti erano monumenti dell’antica Roma, vedute, ricordi di vita di genere, animali, fiori e piante italiane, che affascinavano i viaggiatori per l’esattezza del disegno, la tonalità dei colori e l’armonia della composizione. Tra gli innumerevoli artigiani di spicco presenti a Roma a quel tempo si contano le opere della famiglia orafa Castellani, che si distinse per lo stile innovativo.
In epoca contemporanea, dunque, il mosaico ha ripreso a godere di una notevole popolarità, grazie anche e soprattutto al lavoro di alcuni artisti che gli hanno conferito una nuova dignità coniugando tradizione classica a innovazione in chiave attuale, da Klimt a Gaudì, da Sironi a Severini, da Fontana a Vedova per arrivare agli esempi più recenti di architetti come Mendini, La Pietra, Novembre, Sottsass jr., Josa Ghini, Chia, Paladino, Cucchi, Pomodoro, Frigerio, persino Hirst, e tacendo di molti altri che hanno saputo incarnare nelle loro opere il concetto di un mosaico perfettamente integrato nelle logiche della contemporaneità.
Come scriveva Honorè de Balzac, “un mosaico rivela tutta una società”.