Nel nome di Benedetta: al secolo Benedetta Barzini
Lei, bellezza superiore dai tratti aristocratici, incarnazione reale di eleganza ideale, sublimazione estetica di imperfezione perfetta, volto di bambina scandito dagli anni. Lei che trova nell’anticonformismo una forma latente di esibizionismo e difende la propria dignità dalla danza dell’esteriorità, che ha scelto autenticamente, lei figlia prediletta del tempo,di conservare per se mente libera e sentire acuto. Benedetta Barzini, al secolo modella, giornalista e docente.
Nasce nel 43’ a Porto Santo Stefano, è la seconda figlia di Luigi Barzini Junior, inviato del Corriere della Sera e giornalista affermato e di Giannalisa Gianzana Feltrinelli, vedova di Carlo Feltrinelli (magnate della finanza lombarda).
Ha vent’anni Benedetta e passeggia in Via Condotti, quando la giornalista Italo-Americana Consuelo O’Connel Crespi, allora direttrice dell’edizione Italiana di Vogue, non sapendola figlia del collega e amico Luigi Barzini, la nota, e ne resta tanto affascinata da scattarle una foto e inviarla a New York, alla caporedattrice di Vogue Diana Wreeland che la convocherà per un provino. Benedetta ricorda bene quando le dissero “noi vogliamo te” fu la prima volta in cui qualcuno, a suo sentire, l’abbia veramente voluta.
Resterà a New York per un quinquennio, e lavorerà con professionalità e dedizione. Verrà fotografata dai più grandi maestri del tempo, da Richard Avedon a Irvinn Penn che le scattera il primo servizio fotografico. Racconterà poi … “la Wreeland era bruttissima ma aveva molto fascino, muoveva le mani in modo magnetico era autorevole e volitiva, le sessioni in cui si sceglievano abiti, accessori e modelli erano quasi delle cerimonie”.
New York era a quei tempi jet set, era pop art, era la factory di Andy Warhol, era Salvator Dali’, che la chiese in sposa, era Jacqueline Kennedy dalla quale una sera venne invitata per una cena “il ricordo è tutto beige: era beige il salotto, beige il vestito di Jacqueline, beige il risotto…”. Era un bel gioco e lei partecipava, sebbene consapevole di appartenere a quel nucleo privilegiato di persone dalla bellezza non solo puramente estetica. A tal proposito disse di lei Gerard Malanga, artista statunitense e poeta: “quando la incontrai per la prima volta ebbi la sensazione di vedere personificato il concetto di intelligenza che crea bellezza”.
Tornata in Italia ebbe la prima copertina di Vogue nel 1965, e fu musa ispiratrice di parecchi fotografi del tempo.
Oggi, oltre a continuare con la carriera di modella, si occupa di moda e di temi sociali su varie riviste del settore, è docente presso atenei universitari, cura un corso di Storia dell’abito presso la Scuola per progettisti di moda della Facoltà di Lettere dell’Università di Urbino unitamente al corso Antropologia della Moda per il corso di Laurea Triennale di Fashion Design presso la Naba – Nuova Accademia di Belle Arti di Milano.
Ha oltrepassato da poco i settanta e lo sguardo è lo stesso di un tempo, sguardo di chi ha convissuto con una sensibilità non comune pagandone tutti i conti, sguardo colmo d’amore e di speranza, come quello della giovane ventenne a spasso per New York, e di una mamma di quattro figli che ha affermato di non saper dire se sia stata o no una buona madre ma di sapere di esser stata una madre onesta e affettuosa: una donna che ha tentato di offrire al mondo il meglio di sé, e che chissà se pensa di esserci riuscita. La si vede ancora calcare le passerelle, l’hanno scelta da “adulta” stilisti come Giorgio Armani, Gattinoni, Donna Karan, Dior, Antonio Marras e, da alcune stagioni, Daniela Gregis sua cara amica, La si vede muoversi con l’aplomb di una regina accanto a colleghe ben più giovani; ma il suo charme non conosce eguali, perché fatto di autenticità.