No gender: uno, nessuno e centomila
Se gli analisti del settore orafo hanno finora segmentato il mercato secondo criteri come l’età, il reddito, lo status, il genere, d’ora in poi dovranno tenere conto anche di altri parametri di tipo socio-psicologico. Infatti ha contagiato anche la gioielleria quel fenomeno che già da qualche tempo sta interessando la moda e che va sotto il nome di no gender, vale a dire senza genere, concetto diverso da unisex, in quanto tende a oltrepassare le barriere estetiche tra uomo e donna, a favore di una posizione neutra, sebbene non neutrale. All’origine di questo rinnovato istinto di libertà – complice la globalizzazione (piovra dagli infiniti tentacoli) – vi è il desiderio di autodeterminarsi ridefinendo l’identità personale, alla ricerca di confini inesplorati che possano soddisfare più e meglio il proprio spirito, non tanto il proprio corpo, ovvero restituire sensibilità a qualcosa che poco ha a che fare con il sesso in senso stretto.
L’indifferenziazione dei generi ha ormai preso il sopravvento nelle immagini pubblicitarie, laddove si fatica a distinguere modelli e modelle, che appaiono per lo più con lo stesso taglio di capelli, lo stesso trucco, gli stessi abiti e gli stessi accessori, gioielli compresi: si pensi a certi bracciali, collane, anelli – basta evocare Morellato, Bottega Veneta, Pomellato, solo per citare qualche brand di punta, magistrali interpreti dell’ultima tendenza – che possono essere indossati sia dagli uni che dalle altre, all’insegna dell’androginia post-moderna, non perché vogliano rispondere ad una voglia di trasgressione, ma piuttosto perché – così pare – vogliono rimarcare valori che sembravano dimenticati, come il desiderio di tenerezza, di fraternità, di autentica artigianalità, di un’uguaglianza che superi il mero ideale della parità dei generi tanto abusato nel linguaggio politico.
Per dire a che livello siamo ormai arrivati, è sufficiente considerare che non molto
tempo fa a Milano, in occasione di un evento dedicato alla città del futuro, organizzato da Stefano Boeri alla Diamond Tower, diversi ragazzi si sono spinti ad affermare che i documenti d’identità non dovrebbero indicare il genere sessuale!
Quando il compianto sociologo Zygmunt Bauman parlava di “modernità liquida”, in cui l’incertezza è l’unica certezza, malgrado il progresso tecnologico e la nascita di nuove reti che ci rendono eternamente connessi gli uni agli altri, forse non contemplava anche una fluidità dei generi, ma sicuramente aveva in mente il bisogno di non sentirsi solo dell’uomo contemporaneo, che anche per questo sceglie in coscienza di farsi trasportare da sentimenti, comportamenti, valori, attitudini che non trovano più ostacoli né divieti. Il no gender si presenta allora come il tentativo di trarre dal singolo istante tutte le potenzialità che esso racchiude. La moda, come noto, è un termometro e forse anche un termostato della società e dello Zeitgeist, lo spirito del tempo, per cui ha captato per prima certi mutamenti, sdoganando così senza remore la nuova estetica genderless di un designer come Alessandro Michele di Gucci (uno dei pionieri del fashion “fluido” assieme a Hedi Slimane, già direttore creativo di Saint Laurent) che ha fatto sfilare modelli con volant alle maniche della camicia di chiffon e collo a fiocco da signora perbene. Persino la rigorosa Miuccia Prada si è lasciata andare ad una dichiarazione programmatica inedita del tipo: “Cedo sempre più facilmente al desiderio di tradurre la stessa idea di abito per entrambi i sessi”. Ma anche Brunello Cucinelli, Burberry, Alberta Ferretti, si sono subito affezionati al nuovo trend, per non dire di Giorgio Armani, che ne è stato un alfiere ante-litteram. Ricordiamo infatti che già negli anni ’70 King George andava elaborando questa filosofia: “Elimino le differenze tra uomo e donna. Ho dato all’uomo la scioltezza e la morbidezza della donna, e alla donna l’eleganza e il comfort dell’uomo” (v. Giusi Ferré, Giorgio Armani. Il sesso estremo, Marsilio). E’ palese a questo punto come l’estetica, quindi il design, abbia a che fare più con il gusto e la cultura che con la biologia su cui insistono i critici del gender free, che temono oltremodo l’empowerment delle persone Lgbt specialmente nelle scuole.
In fondo, per crescere armonicamente, l’essere umano ha bisogno della reciprocità tra uomo e donna. Ma lasciamo la conclusione su questo tema così delicato, che è un’autentica sfida antropologica, a Papa Francesco: ”La cultura moderna e contemporanea ha aperto nuovi spazi, nuove libertà e nuove profondità per l’arricchimento della comprensione di questa differenza. Ma ha introdotto anche molti dubbi e molto scetticismo. Io mi domando, per esempio, se la cosiddetta teoria del gender non sia anche espressione di una frustrazione e di una rassegnazione, che mira a cancellare la differenza sessuale perché non sa più confrontarsi con essa. Sì, rischiamo di fare un passo indietro. La rimozione della differenza, infatti, è il problema, non la soluzione. Per risolvere i loro problemi di relazione, l’uomo e la donna devono invece parlarsi di più, ascoltarsi di più, conoscersi di più, volersi bene di più. Devono trattarsi con rispetto e cooperare con amicizia” (Discorso all’udienza generale del 15 Aprile 2015).