Non si uccidono così i sogni
Ha suscitato un certo clamore la notizia che De Beers, storico leader del settore diamantifero (fondato nel 1888 dall’inglese Cecil Rhodes con finanziamenti della famiglia Rothschild), ha deciso di lanciare un nuovo brand di gioielli realizzati con diamanti sintetici – Lightbox Jewels il nome – con prezzi che vanno dai 200 agli 800 dollari. Così ora anche i diamanti di marca sono accessibili a tutti e la democratizzazione del lusso non conosce più frontiere.
Tutto bene dunque? Sì, ma il sogno dove è finito? Che ne è di quel pegno d’amore eterno chiamato diamante fatto della stessa materia delle stelle? Ha senso, da parte di chi ha inventato lo slogan “un diamante è per sempre”, annullare tutta la poesia per conquistare una quota di mercato in più? In questo modo non si offusca lo scintillio negli occhi di una donna?
Il CEO del gruppo De Beers Bruce Cleaver ha giustificato così questa dirompente scelta di marketing: “Dopo decenni di investimenti in ricerca e sviluppo, siamo in grado di offrire ai consumatori un prezzo migliore. Sarà un business di minor rilevanza rispetto a quello per noi principale, dei diamanti naturali, ma pensiamo che Lightbox sarà un marchio che avrà risonanza fra i consumatori e ci darà nuovi spazi commerciali”.
Per questo De Beers investirà 94 milioni di dollari nell’arco di 4 anni in un nuovo stabilimento a Portland, in Oregon (USA) – con capacità produttiva di 500mila carati all’anno – che andrà ad aggiungersi ad uno stabilimento già operativo ad Ascot, nel Berkshire (UK).
“Offriremo ai consumatori – ha spiegato Cleaver – un prodotto di laboratorio che ci hanno detto di volere, ma che non trovano: gioielleria conveniente e alla moda, che magari non è per sempre, ma è perfetta per questo momento”. De Beers comunque disponeva da almeno mezzo secolo di un centro di ricerca dedicato alle gemme di laboratorio per uso prettamente industriale. Adesso la svolta, invece, con un occhio al grande pubblico.
C’è spazio per tutti nel mercato, obietterà qualcuno. Sì, senza dubbio, ma una scelta del genere da parte di un colosso come De Beers rischia di ingenerare disorientamento nei consumatori. E di turbare gli stessi operatori del settore, a cominciare dai gioiellieri che possono percepire come svilito e mortificato il loro lavoro, dovendo oltretutto affrontare le richieste di clienti per gemme che dei diamanti hanno il nome, ma in realtà sono qualcos’altro, del tutto innaturale. E che dei diamanti autentici non potranno mai avere la stessa forza emotiva.
Taluno potrà pure pensare che la diffusione dei diamanti sintetici sia suscettibile di esercitare un contraccolpo positivo sulle gemme naturali, valorizzandole maggiormente. Resta il fatto che una pietra fabbricata in laboratorio non avrà mai quell’unicità che ha fatto sognare milioni di donne, anche se chi la vende è un professionista che opera secondo criteri di trasparenza e correttezza.
I diamanti in fondo sono un riflesso della bellezza del creato e allo stesso tempo un inno ad essa. Se non sono così preziosi e quindi naturali, come possono raccontare la storia di un sentimento, di un’emozione, di un valore?
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