Notte magica per tutti
L’infanzia di Cristo, contrariamente alla retorica natalizia, fu segnata dalla sofferenza e dall’esilio (la fuga in Egitto) fin dai primi giorni. Una condizione, quella del profugo, condivisa oggi da milioni di persone, soprattutto nelle aree più arretrate ed insanguinate del mondo. Il pittore Renato Guttuso in una delle cappelle del Sacro Monte di Varese ha voluto, appunto, raffigurare Maria, Giuseppe ed il Bambino come una famiglia di profughi palestinesi, miseri e spauriti, costretti ad abbandonare la loro casa errando nel deserto. In un Vangelo apocrifo del III secolo Gesù stesso pronuncia queste parole: “Io divenni molto piccolo e povero perché, attraverso la mia piccolezza, potessi portarvi in alto donde siete caduti. Io vi porterò sulle mie spalle”. E come scriveva Bertolt Brecht in una poesia sul Natale, sono i poveri gli unici per i quali Cristo è “davvero necessario”.
Il bambino che possiamo scegliere come icona di questo Natale ha, dunque, i tratti “esotici”, accentuati dalla magrezza del corpo soggetto a privazioni, è intelligente, ma non ha ancora l’età per comprendere che cosa significhi nascere in una religione piuttosto che in un’altra e perché ci siano uomini capaci di odiare ed uccidere nel nome di Dio. Ma un giorno leggerà il Corano e vi troverà parole di pace e di speranza: “Gareggiate nelle opere buone, perché a Dio tutti tornerete, e allora Egli vi informerà di quelle cose per le quali ora siete in discordia”. Sarà un bambino sensibile e, se visiterà l’Italia, capirà che molti di noi vogliono vivere in un Paese tollerante, aperto ad ogni cultura e ad ogni etnia, ma che non abdica alla propria identità ed alle proprie radici: a cominciare proprio dalle tradizioni natalizie. Con ciò non pensiamo solo alla coreografia di luci e regali, all’enfasi pubblicitaria, a qualche buon sentimento rispolverato per l’occasione e frammisto impunemente a capitoni e panettoni. Pensiamo, piuttosto, ad un simbolo come il presepe o al recupero dell’interiorità od alla riscoperta della vita familiare.
Il Natale, di fatto, porta con sé l’evidenza di una nascita, che è qualcosa di atteso con trepidazione e, nello stesso tempo, di inaspettato con la sua dimensione di sorpresa. Induce a riflessioni che aprono la strada ad un cammino interiore verso la realtà della propria nascita, mettendo in moto memoria e coscienza fino ad una personale “rinascita”. Qualcuno ha scritto che il Natale è “un viaggio dell’anima nell’anima”. Certamente, è un cammino che conduce tutti a meditare sull’incarnazione di Cristo; così è stato per tutti i personaggi descritti da Matteo e Luca nella scena evangelica della natività, nei quali si manifesta la condizione umana alla ricerca di un significato da dare alla propria vita ed al proprio lavoro. Ma, a poco a poco, l’evento si dilata sull’onda della fantasia, della fede, dei sentimenti, ed ecco che nell’allestimento del presepe entra tutta la vita quotidiana con i suoi splendori e le sue miserie, dove le statuine, gli ambienti, la natura, gli animali diventano immagine del mondo reale e rappresentazione delle dinamiche sociali e personali. Sulla scena saliamo anche noi, allora, cogliendo nella visibilità della carne l’umanità di Gesù e gli aspetti del mistero che ci avvicinano a Dio. Al riguardo, scriveva Salvatore Quasimodo: “Natale. Guardo il presepe scolpito, / dove sono i pastori appena giunti / alla povera stalla di Betlemme… / Ma c’è chi ascolta il pianto del bambino / che morirà poi in croce fra i due ladri”.
La tradizione fa risalire la ”invenzione” del presepe a San Francesco d’Assisi nel 1223, ma la storia documenta che la prima realizzazione risale all’anno 230, quando nelle catacombe di Priscilla, a Roma, fu dipinta in una grotta la natività. Il tema divenne poi ricorrente nel IV secolo, in seguito all’istituzione della festività del Natale (354), distinta dall’Epifania ad opera di papa Liberio. Ed inizia così un’attenzione ai particolari dell’incarnazione destinata a produrre scenografie sempre più ricche ed intense. Si pensi agli esempi di presepe nati in Toscana nel Trecento, che sono gruppi scultorei imponenti, dapprima scolpiti nel legno, poi modellati in terracotta o in cera, commissionati dalle famiglie aristocratiche più facoltose. Il fenomeno si accentua, poi, nel corso del Seicento barocco e del Settecento rococò. Si arriva al presepe popolare, a mezza strada fra il teatrino familiare e lo strumento pedagogico-ludico, solo nell’Ottocento.
A questo punto, mi permetto di suggerire alcuni libri dedicati al presepe da leggere durante le feste: “I segreti del presepe” di Cesare Biasini Selvaggi (Piemme), che svela dettagli di ogni personaggio, animale ed oggetto della sacra rappresentazione; “Il viaggio di Natale” di Zaira Zuffetti (Ancora), che ricostruisce l’avventura e la figura dei Magi attraverso i quadri di vari pittori; “Storie di Natale” di Bruno Ferrero (Elledici), una raccolta di testi tradizionali e moderni; “Piedini nudi” di Anna Maria Canopi (Interlinea), suora di clausura nell’isola di San Giulio; “Gli angeli custodi. Storie e figure dell’amico vero” di Carlo Ossola (Einaudi), silloge di trattati barocchi sui fidi compagni celesti aleggianti sulla grotta di Betlemme; “Natale dei poeti” (Ancora), un’antologia di cento poesie.
E termino accennando ad un altro rituale di antica sapienza tipico delle feste natalizie: quello conviviale, fatto di grandi pranzi e robuste cene in famiglia, che trasformano il cibo consumato in una sorta di cerimonia. Il Natale, in effetti, è anche una festa di luci e di colori, di profumi e di suoni, incastonati in una stagione che invita alla calda intimità della casa, segnati dal raccoglimento di adulti e bambini davanti all’albero addobbato e al presepe, oltre che dalla solidale meraviglia per i doni scambiati. E il punto focale di questa scenografia scandita dalla tradizione – che è poi la versione laica del mito – resta la tavola, in cui nulla è lasciato al caso perché tutto deve concorrere all’unità, anche in senso estetico. Scriveva il milanese Carlo Dossi, esponente della Scapigliatura, ripensandosi bambino a Natale: “Oh come lieta ci accoglie oggi la tavola, inondata di luce, riscintillante d’insolita argenteria, re il Panettone! Oh come vi ci sediamo volentieri!”. Parole che suonano forse un po’ leziose e zuccherose alle nostre orecchie, ma che ben rendono l’idea dell’incanto infantile per un evento che si annuncia – allora come oggi – con le classiche letterine, l’attesa dei regali, la solenne abbuffata di cose rare e deliziose…
Quindi, anche se sulle festività gravano molte angosce legate ai mali del mondo, cerchiamo almeno di passarle in serenità con i nostri cari, magari leggendo o tuffandoci in iniziative di arte e di cultura. Sarà un bel modo per far “fruttare” gli auguri, che rivolgo calorosi e in gran copia a tutti!