“Nuove Creatività” il primo incontro del ciclo “Doppio filo. Arte e moda al MACRO”
Un appuntamento con le “Nuove Creatività” ha inaugurato il ciclo di conferenze intitolato “Doppio filo. Arte e moda al Macro”, iniziativa a cura dell’Ufficio Didattico – Area Università e Accademie del celebre museo romano realizzato in collaborazione con Rossana Buono dell’Università di Tor Vergata e Tiziana Musi, docente presso l’Accademia di Belle Arti di Roma. Il progetto prevede il coinvolgimento di esperti, stilisti e personalità di spicco del mondo della moda accompagnati da artisti che indagano e utilizzano le più recenti forme di sperimentazione.
La scelta dell’argomento prende spunto da “Harmonic Motion/Rete dei draghi”, lavoro dell’artista giapponese Toshiko Horiuchi MacAdam esposto al Macro e visitabile fino a dicembre del 2014: una struttura site specific, collocata nella hall del museo e realizzata intrecciando manualmente fili colorati. Il tessuto è posto al centro delle dinamiche creative e della ricerca dell’artista che, nei primi anni della sua attività, ha lavorato come designer di stoffe a New York. Prende corpo nelle opere un’indagine accurata della struttura e delle possibili modalità di applicazione, che si concretizza in sculture, architetture abitabili che richiamano l’intervento attivo del pubblico attratto dall’impossibilità di una semplice fruizione passiva. Ma è l’intero ciclo di conferenze che si focalizza sul tessuto; si parte dal materiale, per studiare le possibili metamorfosi e forme di utilizzo in ambito artistico e sartoriale, per costruire una narrazione fatta di contaminazioni che confrontano l’uso tradizionale e il dis-uso artistico, l’artigianato e le azioni performative, la storia dell’arte e la storia del costume.
In un discorso così articolato non poteva mancare una riflessione sulla manualità artigianale come recupero nell’ambito delle nuove ricerche (dalla knitting art alla fiber art) ma anche come strumento proprio della produzione sartoriale.
Fra gli esperti coinvolti la Direttrice dell’Accademia di Belle Arti di Roma, Tiziana D’Achille. L’incontro del 12 febbraio, curato e moderato da Tiziana Musi, è partito dall’interrogativo se la moda possa essere considerata o meno una forma d’arte, anche in relazione alla capacità dell’universo fashion di essere interprete, specchio e costruzione della realtà nel momento in cui si vive. La curatrice ha evidenziato, inoltre, la volontà di ragionare sui concetti di artigianalità e artisticità basandosi sul recupero di un’identità legata a storie diverse rispetto ai processi di industrializzazione e globalizzazione.
Fra i relatori intervenuti Clara Tosi Pamphili, Fondatrice di A.I. Artisanal Intelligence già membro del consiglio d’amministrazione di Altaroma, docente all’Accademia e giornalista d’arte e moda che ha invitato a riflettere sul successo ottenuto da eventi espositivi come “Alexander McQueen: Savage Beauty” (mostra che ha registrato l’ottavo incasso nella storia del Metropolitan) dimostrando come una linea di demarcazione possa essere superflua quando entrano in gioco competenze forti e indubbie professionalità. L’attenzione della relatrice si è quindi focalizzata sulla performance “Eternity Dress”, interpretata da Tilda Swinton e portata in scena al Palais Galliera, Museo della Moda della città di Parigi, capace di raccontare il lavoro alla base della moda consentendo, contemporaneamente, di “dimenticarsi” o di “non chiedersi” se si stia facendo moda o si stia facendo arte.
Centrale è stato anche l’intervento della fashion designer Cristina Bomba, motivata da una ricerca maniacale della bellezza, che è solita presentare i suoi lavori nelle gallerie d’arte; unica eccezione è stata una sfilata “ferma” realizzata nel 2004, in cui le creazioni sono state indossate da persone di tutte le età che rimanevano immobili al loro posto. La stilista ha spiegato: “Ho creato uno stile che non trovavo rappresentato e che è stato definito minimalista, intimista, stile povero innanzitutto, perché proposto in epoche in cui accadevano altre cose” (basti pensare ai tessuti scelti a partire dagli anni ’80 in netto contrasto con il mood dominante nel decennio). Una stilista dall’animo d’artista capace di inseguire la stoffa perfetta, ad esempio una rosa impressa sulla seta, fino all’altro capo del mondo. “L’abito deve essere fruito e non semplicemente ammirato – ha spiegato, aggiungendo – realizzo creazioni che le persone possano indossare sentendosi a proprio agio. In effetti non mi chiedo, quando realizzo un abito, se quel capo si venderà”.
E’ intervenuta quindi l’artista Susan Crile che, riferendosi anche al progetto realizzato in collaborazione con il brand Bomba, ha spiegato: “Sono entrata nella moda dalla porta di emergenza come artista, come una pittrice. La bellezza e l’orrore sono i due poli del mio lavoro. Il mio legame con la bellezza risale all’infanzia e si collega in particolare al motivo decorativo, l’aspetto politico del mio lavoro è nato invece durante la Guerra del Golfo”. Il concetto politico è utilizzato essenzialmente in un’ottica d’impegno sociale, come rifiuto dell’odio e degli abusi di potere. La bellezza emerge prepotentemente dall’amore per i motivi decorativi utilizzati come strumenti per arrivare all’anima delle persone, secondo una visione multietnica e trasversale.
Il lavoro pittorico s’incontra con la seta, in un progetto di stampa sul tessuto nobile iniziato in India 10 anni fa. Susan Crile ha sottolineato: “Abbiamo impiegato tre anni per trovare la seta giusta, i colori giusti, solo per iniziare qualcosa che potesse essere magico”. Il lavoro è passato dalle serigrafie su tessuto all’uso hand made degli stampi in legno, per creazioni leggere come un soffio di aria calda tra cui spicca anche lo scialle realizzato per le Valigie di Cristina Bomba.
Il progetto delle Valigie accoglie quindi l’unica creazione non firmata dalla stilista. La Valigia diviene il simbolo di trent’anni di lavoro, un bagaglio a mano foderato all’interno di tessuti giapponesi antichi che comprende ben cinquanta capi per otto chilogrammi di peso fra contenitore e contenuto. La stilista ha creato tre “no season suitcases” pensando a tre diverse sensibilità femminili nelle varianti small, media e ampia, che non dipendono dalle dimensioni del corpo ma da come a ogni donna va di vestire, più una valigia da uomo. Tutto ciò di cui si può avere bisogno è lì, abbinabile o scomponibile in diversi strati, comprese scarpe modello ballerina, lingerie e camicie da notte. Le creazioni sono realizzate in almeno dieci tonalità di nero (un’accortezza evidentemente lontana dai processi d’industrializzazione) con accenni di colore. Come sottolineato da Clara Tosi Pamphili si può parlare di “un prodotto di lusso non perché rappresenti una firma ma perché rappresenta una storia”.
Il convegno si è concluso con l’intervento di Alessandra Cigala, docente dei nuovi media e arti performative presso l’Accademia di Belle Arti di Roma che, ispirata dal tema del viaggio e del nomadismo, ha ricordato i lavori di Hussein Chalayan, in particolare la sfilata performativa intitolata “Afterwords” che dopo i fatti del Kosovo ha portato in passerella una particolarissima riedizione del dramma dei rifugiati che, dovendo lasciare le proprie dimore, portano con sé non solo gli abiti ma anche parte degli arredi creando una con-fusione creativa fra le parti sullo sfondo di un ambiente sempre più nudo, mentre il corpo si riveste dell’ambiente. In sottofondo donne che intonano un canto bulgaro. Il prossimo appuntamento dal titolo “Fili e Forme” si terrà il 26 di marzo.