“Ogni vestito ha una storia”: Walter Albini
Walter Albini. Una personalità sfuggente, elusiva, ambigua, enigmatica. Un uomo esuberante, appassionato, audace. Uno di quelli che lasciano il segno, non in senso metaforico, ma nel suo significato preciso di ‘in-segnare’.
Tutto ciò che in epoca moderna fashion è normalità, questa è stata legittimata dal signor WA. Il “migliore” come lo ricorda Marc Jacobs.
Parole come prêt-à-porter, total look, fashion show si sviluppano con lui. L’unisex, le collezioni co-ed sono sempre state parte integrante del suo vocabolario stilistico.
Quando il nome di Walter Albini si affaccia nelle pagine di Vogue alla fine degli anni 60, in Italia siamo in piena contestazione. I profondi cambiamenti sociali e politici del dissenso hanno i loro effetti “ribelli” anche nella dimensione del vestire. L’alta moda diventa del tutto marginale. L’abbigliamento si piega ai ritmi quotidiani sempre più frenetici. I nuovi trend vengono recuperati dalle strade, dai cantieri, dalle fabbriche con idee innovative e di facile portabilità. L’alta moda perde terreno in favore della confezione in serie e della sua democratizzazione. Si passa dall’atelier ai grandi magazzini.
E nel momento in cui viene messo in discussione un sistema, vengono fuori nuovi pensieri e nuove immagini, e quelle della moda, nella sua visione più contemporanea, passano per la matita di Walter Albini.
Audace, geniale e rivoluzionario. E’ tra i pionieri insieme a Krizia, Missoni e Ken Scott, che nella primavera del 1971 abbandona le sfilate fiorentine a Palazzo Pitti, all’epoca alveo indiscusso della moda, a favore di una città come Milano in pieno boom economico, intuendone l’evoluzione non solo industriale ma anche delle nuove sperimentazioni artistico-architettoniche e del design, sancendo la nascita del prêt–à–porter italiano, e dando vita di fatto alle Collezioni Donna nel capoluogo lombardo.
In questo nuovo limbo creativo la cifra stilistica di Albini emerge inesorabile.
Il suo modo di ideare le collezioni incide contemporaneamente sulla strategia produttiva e sulla cultura del consumo. Le sue invenzioni provocano un radicale cambiamento rispetto a quella che potremmo definire la tradizione dell’alta moda, aprendo la strada alla produzione in serie.
Per primo intuisce la forza – anche economica – dell’unire la creatività della moda all’industria tessile e manifatturiera specializzata in differenti tipologie di prodotto. La sua idea di una progettazione totale, dove tutti gli elementi si muovono in sintonia, dall’abito al tessuto, dai motivi decorativi ai gioielli, dalle borse alle scarpe, passando per i cappelli, le sciarpe, i foulard, i guanti, persino al make-up; tutto con unità di stile, furono il primo vero grande approccio al ‘total look’.
Albini segna una cesura, un punto di non ritorno per la moda italiana celebrando il connubio tra l’industria e il design secondo forme esteticamente raffinate. Le sue combo abito-accessori vengono curate con una attenzione quasi maniacale. Albini non segue solo lo stile delle collezioni, ma realizza persino le illustrazioni che le pubblicizzano. Coglie subito anche l’importanza della griffe, del nome dello stilista sull’etichetta che accomuna prodotti diversi, oltre al brand nome-immagine, logo grafico-volto.
Iniziatore ante litteram della moda genderless, Walter Albini agli inizi degli anni Settanta porta in passerella il concetto di “uni-max”: ossia la coincidenza di taglio e colore per uomo e donna. I suoi coordinati inclusivi woman-man spopolano.
Propone un’immagine femminile assolutamente libera, disinvolta, di grande personalità; talvolta enigmatica e raffinata, a tratti esotica o classica, altre volte cosmopolita e pellegrina, addirittura folk, persino ironica. “Inventa” la donna in giacca e pantaloni prima dello stile androgino di Re Giorgio. Lo stile Marinarette passa da Albini prima che da Jean Paul Gaultier.
Riesce a presentare il revival come reinterpretazione di stile inneggiando alla ricercatezza dello stile degli anni ’30, ispirandosi a Coco Chanel e a Marlene Dietrich.
Riesce ad imprimere stelle e disegni paisley su raffinati tessuti.
Riesce a proporre una inclinazione garbata e raffinata nel casual. La sua moda chic passa anche per i bermuda, i pantaloni larghi, le giacche-camicia e le giacche destrutturate, i capispalla unisex, i gonnelloni plissè, gli stivali texani e le mary jane.
Quando si pensa al suo calamo e ai suoi colori non possiamo non ricordare il meraviglioso blu da sera per l’Autunno-Inverno 1973-1974 proposto a Monte Carlo nei saloni dell’Hotel Hermitage per Misterfox. Un blu glamour, sontuoso, sofisticato, ricco. Come pure il viola maestoso e nobile nelle provocanti trasparenze dei midi dress della collezione veneziana del 1973 riproposta poi a New York, fino ai rosa pastello leggeri e fluttuanti del 1980.
Maria Luisa Frisa parla di lui come il “Prediletto dagli dei”.
La sua eleganza nei modi e nel vestire, il suo modo di essere, caratterizzato anche da forme di individualismo talvolta esacerbato, influirono notevolmente sulla cultura della moda degli anni 70. Gusto impeccabile, grande “creatività frenetica” come la definì Gianni Versace.
Walter Albini identifica il suo stile di vita con il suo stile creativo; persino le sue abitazioni sono arredate e coordinate alle sue collezioni di moda; ne disegna i tessuti, gli oggetti, i vetri e i mobili.
La penna di Isa Vercelloni (all’epoca direttrice di Casa Vogue, conquistata dal suo gusto anche per l’interior design) e il pensiero di Flavio Lucchini, pioniere dell’immagine tra arte e moda, riservano e concedono ad Albini “la capacità di sognare, l’abilità di dar corpo o una parvenza di realtà al suo mondo di sogni”, possedendo “persino la rara qualità di farlo senza rovinarli”.
La sua attività creativa come la sua vita furono declamazioni a tinte forti, come in una trama romanzesca. Walter Albini è stato un personaggio. Per fama, per prestigio, per creatività. Esuberante ed appassionato, persino ribelle e autodistruttivo. Vittima consapevole di un certo culto della personalità, vive da star, gioca a fare il modello coordinandosi alle sue collezioni, si confonde con le sue indossatrici nei book fotografici, per strada, diventando testimonial di se stesso. Ingemarie Lamy, Isa Stoppi, Angelica Houston, Emy Vicenzini, posano per lui.
Sa farsi notare. Chiama a corte fotografi straordinari come Nini Mulas, Alfa Castaldi, Aldo Ballo, Maria Vittoria Backhaus che raccontano le sue collezioni in modo esemplare.
Stravagante, originale, anticonformista, snob, bizzarro, vistoso. Il suo stile conquista, fa parlare nel bene e nel male. Oggi sarebbe stato un perfetto Influencer!
Albini è sempre stato un esteta. Adorava lo stile Liberty e quello grafico del Bauhaus, lo spirito rivoluzionario delle avanguardie come il Costruttivismo e il Futurismo. Mescolando creatività, sartorialità e industria si è esaltato sempre nel dar vita a modelli e collezioni fruibili da tutti creando una tendenza moda e facendo diventare alcuni capi ed accessori degli irrinunciabili must have. Basti ricordare i gioielli bold, appariscenti il giusto, presentati a Milano nel 1979 alla Rotonda della Besana o gli echi tunisini nelle grandi gonne dal sapore esotico dello stesso anno.
Lui è l’artefice antesignano degli happening, delle performance, del fashion show. Con Walter Albini le sfilate si animano, diventano spettacolo che attira, che incuriosisce, che fa parlare di sé andando oltre il concetto di sfilata nel senso più stretto. Location insolite (indimenticabile quella tra i tavolini nello storico Caffè Florian di Venezia per la sfilata Autunno Inverno 1973-74); musica, luci, attenzioni alle pose e alle gestualità delle modelle. Tutto ciò che oggi è consuetudine ma che allora era quasi irriverenza, Albini lo percorre.
L’iconica Anna Piaggi coniò per lui il termine stilista per la sua cura indiscriminata verso qualsiasi forma espressiva di abito. Uno stilista in un mondo di couturier.
Per tutto il decennio degli anni Settanta ed i primi anni Ottanta Albini regala alla moda felici intuizioni. La sua idea di eleganza ispirata, ha rivestito il principio della moda in una forma sensibile se pur eclettica. I suoi stilemi di individualismo stravagante, sono sempre stati privi di sontuosi paludamenti cheap, anche quando l’elemento sorprendente andava oltre. Tutte le sue creazioni declamano un’energia innata, un mutamento continuo e necessario, alla ricerca di sempre nuove elaborazioni di dettagli.
Walter Albini ha scritto la storia della moda ma quando la scrive la stampa italiana è distratta. Eppure quella estera ne è assolutamente affascinata tanto da definirlo il “nuovo astro della moda italiana”, l’unico in grado di tenere testa al talento di Yves Saint Laurent.
Disegnatore eccellente, Albini è conteso da tutti. Il suo approccio rivoluzionario ma stiloso – così come lo definiremmo oggi – lo portano ad avere contratti fruttuosi, collaborazioni eccellenti che però terminano sempre con accordi stracciati. L’estro di Albini è volubile e incostante. La sua natura sensibile lo acclama come icona fashion ma anche uomo insofferente alle “limitazioni”. Tuttavia, nonostante i suoi fulminei innamoramenti professionali, la mano di Albini è sempre stata capace di creare notevoli ed intense finezze espressive nel vestire con solide radici storiche e culturali grazie anche agli studi proficui presso l’Istituto d’Arte, Disegno e Moda di Torino.
Albini è raffinato come nei suoi colli di volpe e nel suo pied-de-poule nella collezione Autunno Inverno 1972-1973.
E’ poetico come nella sua serie Preraffaellita, realizzata per Misterfox presentata a Mare Moda Capri nel 1970.
E’ colto, come nei tailleur pantalone a quadri per Callaghan del 1973.
E’ avanguardista e fluido come nel suo doppiopetto Unilook che compare nelle pagine di L’Uomo Vogue (n.15, dic. 1971-gen.1972).
Talvolta ironico come nella sua collezione Anagrafe (1970) dove lascia sfilare otto spose rosa in lungo e otto vedove in nero corto.
Si dimostra irriverente come la sua mostra fallica del 1977 presso la Galleria Eros di Milano o come nelle sue magliette con scritte ad effetto tipo “cocaine” (1979) e megalomane come nella sua installazione con venti manichini che indossano maschere del suo volto nel ristorante Fiorucci a Milano.
La sua propensione a marciare controcorrente lo rende impudente. Ma sa usare in maniera intelligente la contestazione. Il suo look #126 dal titolo Guerriglia Urbana (collezione per Trell Autunno-Inverno 1976-1977) fatto da passamontagna, pantaloni alla zuava, grandi sciarpe e stivaloni, riporta chiari riferimenti verso i movimenti estremisti degli anni di piombo e desta interesse nei trend setter di nuova generazione.
Come lui stesso affermava, “ogni vestito ha una storia: d’amore, di rabbia, di violenza. Ogni vestito è un momento, una persona, un posto”.
Ma, tutta questa grande innovazione, questo fermento evolutivo del concetto di moda nel suo senso più ampio, questa grande chimera di amplificare il concetto di stile per trovare raffinati e originali risultati espressivi, sono rimasti chiusi nella loro utopica illusione di bellezza per tantissimo tempo. Fin dal 1983. Anno in cui Walter Albini a soli quarantadue anni lascia prematuramente una Milano ancora in evoluzione stilistica che porterà la moda a diventare industria.
Una dimenticanza collettiva quella verso Albini che non possiamo permetterci.
Finalmente, oggi, il suo marchio che faceva parte della lista degli sleeping brand, è pronto a tornare sulla scena.
Bidayat, società di Alsara Investment Group, holding con sede in Svizzera fondata da Rachid Mohamed Rachid (presidente delle maison Valentino e Balmain), ha acquisito la proprietà intellettuale e una parte sostanziale degli archivi del brand con l’intenzione di rilanciare l’iconico marchio.
Riconsegnare la fragile bellezza di Albini in un vero e proprio patrimonio di ispirazione con “la gioia di incontrarsi di nuovo” e con la sua forza di trasformazione ci auspichiamo siano il preludio di una nuova sinfonia nel mondo della moda.