Omaggio ad un grande orafo del passato: Giuseppe Gillio
Nel 1867 nasceva a Torino quello che sarebbe diventato uno dei più celebri orafi italiani, stimato a livello internazionale, vale a dire Giuseppe Gillio (scomparso a Valenza Po nel 1964), il quale – coetaneo di Picasso – attraversò come lui gran parte della parabola creativa del Novecento, spaziando tra esperienze artistiche diverse.
Noto al grande pubblico soprattutto per la realizzazione di un cofanetto portagioie donato al Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi nel 1959, Gillio è stato riscoperto in patria grazie alla bella mostra che Valenza gli ha dedicato nel 1997. Come ha scritto la studiosa Maria Carla Manenti (cfr. “Gioielli in Italia”, AOV-Marsilio), “la straordinarietà dell’opera di Gillio è data dalle sue indiscusse capacità creative ed esecutive, che ne fanno un vero artifex rinascimentale, e dalla eccezionale longevità lavorativa che lo ha portato ad affrontare tanti cambiamenti di moda e stile, mantenendosi costantemente aggiornato senza mai rinunciare a una classicità di forme; oltre a questo, la sua sete di novità e uno spirito inquieto, anarchico e solitario lo portarono tra il 1889 e il1895 a Parigi e a Londra dove lavorò per famosi atelier”.
Le sue opere, in effetti, offrono una panoramica esemplare dell’evoluzione del gioiello tra Ottocento e pieno Novecento. Si va, così, dai suoi esordi simbolisti a Torino all’adesione all’art nouveau, per cui gli vennero commissionati vari lavori da prestigiose aziende parigine, relativi non solo a gioielli, ma anche a cornici, medaglie e oggetti d’arte. Tra il 1905 ed il 1919 egli arrivò a dotarsi di un proprio punzone caratterizzato da due spighe incrociate, tra le quali si inseriscono le iniziali JG (Joseph, alla francese, Gillio). Sono questi gli anni dominati dai motivi vegetali ed animalier, nonché dalla figura femminile interpretata come femme fatale, che evoca suggestioni erotiche ed ambiguità, colta in atteggiamenti che si spingono fino al labile confine tra arte e pornografia (vedasi quale chiaro esempio l’anello denominato “La primavera”, raffigurante un plastico e sensuale nudo a figura intera).
Si inseriscono nella sua produzione, poi, anche temi classicheggianti e, in particolare, di ispirazione rinascimentale, finché Gillio tra il 1915 e la fine degli anni ’30 si volge al geometrismo art-déco, tornando solo negli anni ’40 a forme più morbide e ampie, a riprova della sua continua disponibilità ad aggiornarsi secondo la moda del tempo (si ammiri questo suo mutamento di stile nel magnifico pendente in oro, platino e diamanti, che rappresenta il mito di “Amore e Psiche”).
Dopo la morte del sommo maestro, alcune sue opere sono state completate dall’allievo valenzano Luigi Baggio, che Gillio ebbe sempre molto caro ed a cui fece dono dei suoi attrezzi da lavoro.