Paul Poiret. Agli albori del secolo d’oro della moda
Arrivare ad una comprensione profonda della personalità e delle creazioni di coloro che hanno segnato la storia della moda non è mai un compito agevole, soprattutto quando ad essere coinvolto è un nome così imponente e singolare quale quello di Paul Poiret. Probabilmente un’analisi del percorso stilistico, unitamente ad un’interpretazione del contesto socio-culturale in cui si è sviluppato, potrebbe costituire uno dei primi passi verso un’interiorizzazione delle lezioni artigianali e culturali lasciateci in eredità da un maestro come Poiret.
La sua carriera ebbe inizio con la vendita di figurini alle molteplici case di moda parigine, vendita che esplicò fin dall’inizio la sua spiccata creatività, tanto che nel 1898 Doucet gli propose di lavorare unicamente per la sua maison. Fu incaricato di dirigere la sezione di taglio e questa fu l’occasione di disegnare e confezionare le sue prime creazioni, costumi di scena per alcune tra le più famose attrici teatrali dell’epoca. Da subito spiccò la sua naturale propensione per la teatralità, qualità che segnerà il suo intero percorso nel mondo della moda.
Nel 1901 fu assunto dalla maison Worth con il preciso compito di rilanciare sulla scena parigina e internazionale lo storico atelier che negli anni precedenti aveva perso terreno, a vantaggio di nuove proposte che avevano monopolizzato il mercato dell’Alta Moda. Il rapporto però si concluse molto presto, le proposte di Poiret erano troppo innovative per l’immagine di una casa che aveva vestito per anni la più alta nobiltà europea.
Nel 1903 aprì il suo primo atelier e per arrivare velocemente al cuore dell’eleganza parigina procedette all’allestimento di esposizioni spettacolari all’interno delle sue vetrine, affinché tutti i riflettori fossero puntati sul nuovo arrivato.
Il primo modello che presentò fu un kimono bordeaux decorato con motivi cinesi che fu pubblicizzato dalla stampa specializzata col nome di “Révérend”. L’influenza orientale, che segnerà la totalità della sua opera, è già visibile in quest’abito, destinato a trovare successori degni della sua eleganza.
L’Oriente costituisce il file rouge di tutte le creazioni di Poiret, ma si presenta sempre sotto forma di dettaglio, il famoso tocco finale, inserito in una visione d’insieme prettamente neoclassica. I modelli diritti, a vita alta, con suggestioni etniche provenienti dal misterioso e affascinante Est costituiscono i cavalli di battaglia dello stilista parigino e il modello “Joséphine”, abito chiave per il suo lancio definitivo sulla scena modaiola, ne è un esempio illuminante.
Per Poiret la moda non fu mai solo un affare economico o un mezzo per sopravvivere, ma una vera esperienza totalizzante, il palcoscenico sul quale dare libera espressione al suo genio creativo. Ed è in tale contesto che bisogna interpretare l’importanza che egli riservò alla comunicazione e alla diffusione del suo stile. A conferma di questa visione, nel 1908 affidò all’artista Paul Iribe l’intera campagna pubblicitaria delle sue collezioni: il risultato fu “Les Robes de Paul Poiret recontées par Paul Iribe”, un album di dieci tavole a colori, distribuito in duecentocinquanta copie numerate.
Le illustrazioni, eseguite personalmente da Iribe, rappresentavano perfettamente quello che era il tratto distintivo della maison, una coerenza formale rintracciabile in ogni elemento.
In un periodo in cui il movimento femminista si imponeva in modo crescente sulla scena politica e sociale, Poiret aveva un’idea di bellezza e femminilità che non trovava nessun punto di contatto con le incalzanti rivendicazioni del gentil sesso. Il suo ritratto di donna era quello di una femme fatale, circondata da un alone di erotismo e mistero, senza alcun contatto con la vita quotidiana, immersa in un’atmosfera quasi irreale, dove il lusso e l’eleganza la facevano da padroni indiscussi.
Nel 1910 stupì il mondo della moda e l’opinione pubblica con una creazione decisamente di rottura: i pantaloni, fino ad allora indumento maschile per eccellenza, anzi l’indumento principe per la necessaria differenziazione tra uomo e donna. I pantaloni di Paul non avevano però nessun significato di rilevanza sociale, piuttosto costituivano un abito da casa, coperti da una tunica che arrivava ai polpacci.
Il 1911 fu un anno memorabile per la capitale dell’Alta Moda in quanto segnato da un evento che non ebbe eguali in tutta la successiva storia della moda. Poiret organizzò nel giardino della maison la “Festa della Milleduesima Notte” e mise in scena tutta la sua immaginazione per dare vita ad uno spettacolo inimitabile.
L’anno successivo, in compagnia della moglie, compì un viaggio comprendente tutte le capitali europee, anche con l’obiettivo di promuovere la sua ultima collezione. Il contatto con la Russia e successivamente con Vienna, segnato dall’incontro con artisti del calibro di Klimt e Hoffmann, gli permise di arrivare ad una nuova consapevolezza. Era arrivato il momento di rompere i confini gerarchici che relegavano la moda alle arti minori e operare un’innovazione culturale che vedeva le espressioni artistiche più alte dialogare col mondo del design e della couture.
Nello stesso anno Poiret decise di ampliare la gamma della sua offerta, creò il primo profumo e successivamente un’intera linea di cosmetici e prodotti di bellezza.
Nel 1914 scoppiò la Prima Grande Guerra e le difficoltà e le incertezze che portò con sé toccarono anche il mondo della moda e Poiret in prima persona. L’atmosfera di tensione e disagio che piombò sulla Francia non fermò però lo stilista dalla continua ricerca di iniziative che potessero risollevare o almeno mantenere a galla la moda parigina. In qualità di presidente del Syndicat de défense de la grande couture francaise, organizzò la Fete parisienne, promossa da Vogue nel 1915 al Ritz Carlton Hotel di New York. L’obiettivo era promuovere il sostegno per l’intera Francia e creare un clima di solidarietà interalleata.
Nel dopoguerra le gravose condizioni economiche costrinsero Poiret ad ipotecare tutte le sue proprietà e l’incertezza del momento lo portò a fare un viaggio in Marocco, in cerca di tranquillità e di nuove ispirazioni. Le sue creazioni divennero sempre più elaborate, i ricami e i dettagli, valorizzati da colori forti e decisi, monopolizzarono i frutti della sua creatività.
Gli anni ’20 videro la sua uscita dalla scena modaiola: due fattori erano intervenuti a decretare tale scelta. Da un lato le sempre più ristrette possibilità economiche che lo indussero nel 1924 ad affidare la maison ad una società di banchieri. Dall’altro i cambiamenti socio-culturali, che la penetrazione dei valori americani avevano provocato, lasciavano uno spazio ridotto, quasi nullo, al suo stile e al suo modo di concepire l’eleganza. Era il momento di Chanel e Patou, figure centrali nel nuovo corso della moda, ma distanti dall’ideale di femminilità che aveva caratterizzato il percorso di Poiret.
L’artista- appellativo lecito in questo caso- non riusciva a rassegnarsi alla penetrazione sociale e culturale che un Paese come l’America aveva compiuto nel Vecchio Continente. I valori estremamente liberali, il modello culturale interclassista che aboliva le distinzioni e i ruoli stabiliti dalla vecchia borghesia , ormai eclissatasi, non rientravano nella mentalità di Poiret, di indole e spirito favolosamente Europei.
“Ma cos’è il piacere per un americano? Tutto è utilità o necessità! Non sanno inventare il superfluo, quel superfluo che per noi è più indispensabile del necessario. Lo stile del grattacielo è stato creato per necessità di ordine sociale che vogliono far rendere molto denaro ad un piccolo quadrato di terreno, e quindi bisogna costruire in altezza e, con dei preveggenti regolamenti di polizia, impedire tutte le sporgenze sulla strada, tutte le cornici, tutti gli orpelli, insomma tutto quello che non ha una necessità positiva. È la proibizione stessa dell’arte decorativa”.