Plasmare il tempo con la moda
Un’occasione speciale per riflettere sul rapporto tra la moda, effimera per definizione, e il tempo, che passa inesorabilmente, ma talvolta può anche viaggiare su binari diversi. E’ quello che il celebre MET – Metropolitan Museum of Art di New York – intende offrire al pubblico, nel 150° anniversario della sua fondazione, con la mostra che sarà aperta il 7 maggio dal titolo “About Time: Fashion and Duration”, esibendo gli abiti che hanno effettivamente generato associazioni temporali tra passato, presente e futuro.
Articolata in due sezioni, la rassegna che attinge alle ricche collezioni del MET, vedrà da un lato 60 abiti neri scelti per spiegare l’evoluzione lineare del costume e dall’altro 60 coppie in bianco e nero per comparare modelli di epoche diverse, dimostrando come il tempo nella moda sia spesso “circolare”. La moda dunque è sì transitoria, ma anche longeva (e sempre più sostenibile) e rappresenta un barometro culturale di straordinaria sensibilità: ad esempio un abito principesco del 1870 sarà affiancato dall’iconica gonna Bumster di Alexander McQueen del 1995.
“La moda ci insegna a raccontare diversamente il tempo. Ci mostra che il tempo è più di quel che puoi contare sulle dita di una mano o sulle lancette dell’orologio”, ha dichiarato il curatore Andrew Bolton presentando la mostra alla Fashion Week parigina, illustrandone la filosofia davanti all’enorme orologio del Musée d’Orsay.
L’orologio avrà due funzioni: raccontare il tempo che procede in una direzione, ma fare anche da cronometro per un tour che consentirà ai visitatori di fare salti in avanti e all’indietro nella storia sull’onda dei “ritorni di moda nella moda”. Due autori francesi con diverse visioni del tempo faranno da guida, il poeta Charles Baudelaire (“Bisogna sempre essere ubriachi. Tutto qui: è l’unico problema. Per non sentire l’orribile fardello del Tempo che vi spezza la schiena e vi tiene a terra, dovete ubriacarvi senza tregua. Ma di che cosa? Di vino, poesia o di virtù: come vi pare. Ma ubriacatevi”) e il filosofo Henri Bergson (“Un’ora, non è solo un’ora, è un vaso colmo di profumi, di suoni, di progetti, di climi”) come portatori di concetti rivali di temporalità: il primo interessato all’accelerazione e compressione della percezione del tempo provocata da progressi industriali e tecnologici; l’altro teorico dell’illusorietà del nostro senso di successione temporale. A far avanzare la narrativa sarà Virginia Woolf, secondo Bolton “la mediatrice ideale nella battaglia tra Baudelaire e Bergson”. Alla Woolf va infatti ascritto il merito di aver saputo restringere, condensare o dilatare all’infinito il tempo (per la sua Mrs Dalloway “È in quell’attimo, tra le sei e le sette, che i fiori – le rose, i garofani, gli iris, i lillà – risplendono: bianco, violetto, rosso arancione”).
“Volevamo ripensare la nostra collezione attraverso un concetto che ne riflettesse lo spirito del tempo. Negli ultimi anni il tempo ha dominato il dibattito nel settore della moda, tra produzione accelerata, circolazione, consumo nel mondo sincronizzato digitalmente del XXI secolo. Le aziende”, ha spiegato Bolton, “hanno tratto vantaggio dalla velocità 24 ore su 24 del capitalismo digitale, ma gli stilisti si sono spesso sentiti limitati da questo dover lavorare continuamente. Per questo ci è sembrato che fosse arrivato il momento di esplorare il carattere temporale della moda attraverso una prospettiva storica“.
Michael Cunningham, che ha vinto il Pulitzer per il suo romanzo “The Hours”, ispirato dal romanzo della Woolf “Mrs. Dalloway”, e il cui film annoverava nel cast Meryl Streep, ha scritto un racconto breve per il catalogo della mostra sul tema della durata. Va detto che questo grande evento espositivo è stato realizzato grazie al supporto della maison Louis Vuitton, il cui direttore creativo Nicolas Ghesquière ha affermato: “La moda non è solo lo specchio dei tempi, ma serve anche a teorizzare e plasmare il futuro”.
Questa riflessione sul tempo suggerita dalla mostra ci dà il là per accennare che tra i potenziali trend del prossimo futuro, di cui anche il mondo fashion dovrebbe tenere conto, vi è quello che i previsionisti di mercato chiamano “l’oggetto rallentante”. Si tratta di qualcosa che evoca il piacere della lentezza nella privacy della nostra casa, del nostro corpo e della nostra mente. E questo potrebbe anche essere un abito, un articolo che indossiamo l’intero giorno, in grado di lanciarci un messaggio silenzioso di fuga dall’ossessione della fretta; in altre parole, di ricordarci l’antico suggerimento del filosofo Seneca, il quale esortava a far riposare ogni tanto l’animo per allentare la tensione e ancorare la mente ad un approdo rilassante.
Ma come nasce un “oggetto quietante”? A prescindere dal lavoro creativo dei designer, la questione non è inventare qualcosa di nuovo, ma riscoprire qualcosa di antico, di dimenticato, riproponendone il linguaggio perduto. In questa prospettiva, la riflessione più illuminante ce la fornisce un saggio di Ernst Junger dedicato alla storia della clessidra (”Il libro dell’orologio a polvere”), un racconto davvero suggestionante. Dove c’è una clessidra – afferma Junger – il tempo scorre più lento e noi – vicini a quell’oggetto – non possiamo che immergerci in un clima di meditazione, fasciati da un senso rassicurante di pace e dall’idea distensiva di un’esistenza tranquilla. Contemplando il placido fluire della sabbia nell’ampolla, sentiamo che il tempo non svanisce, ma si dilegua, cresce in profondità. Tutti questo ci insegna molte cose: ci fa capire, prima di tutto, che per l’uomo felice le ore non scoccano mai e che l’intimità è fondamentale per ciascuno.
Gli analisti di mercato ritengono che sempre più in futuro avremo bisogno di un “angolo” – sia esso in casa sia sul nostro corpo – in cui riporre qualcosa di silenzioso, discreto, raccolto, che ci aiuti a restare con noi stessi, a pensare, a distillarci, a riepilogarci. Un anti-televisore, insomma!
Riusciremo a tradurre tutto ciò in abiti?