POP-UP per fedelissimi
Nell’ambito del dettaglio – nodo nevralgico attraverso cui passano molte questioni legate alle sorti del settore moda – si sente sempre più spesso parlare di modalità innovative di distribuzione facenti perno sulla sperimentazione e, in particolare, sul coinvolgimento “spontaneo” dei clienti. Tra le ultime, hanno già fatto capolino da qualche tempo i pop-up store, vale a dire punti vendita caratterizzati da un retailing mix completo, fatto di assortimento, visual, atmosfera, servizi: di fatto, essi vivono per un lasso di tempo determinato (da una settimana a un anno), esplicitando da subito la data in cui cesseranno di esistere. Non si tratta, quindi, di negozi stagionali oppure itineranti, bensì di attività che fanno dell’irripetibilità e della “scadenza” una parte integrante della propria offerta.
In pratica, essi si configurano come piattaforma relazionale che consente l’incontro tra la marca ed il consumatore, il quale può entrare nel negozio e toccare con mano quanto gli viene proposto, godendo così di un’esperienza esclusiva. Lo shopping, in tal modo, si trasforma in un “evento”, spartiacque che definisce chi c’era e chi non c’era.
Tutti questi aspetti sono accomunati da un fenomeno-chiave per comprendere l’efficacia di questa idea: partecipazione. In effetti, non è la vendita l’obiettivo, bensì la relazione. Nel negozio il brand si presenta al suo pubblico, accoglie i consumatori nella propria “casa”, dove ogni dettaglio trasmette i propri valori: una casa che rimarrà aperta per poco tempo, per cui non è possibile scorrerne le vetrine e rimandare la visita, perché domani avrà fatto trasloco o, addirittura, sarà chiusa. E quando, appunto, sarà chiusa, rimarrà un patrimonio di conoscenze che solo chi ha predisposto per tempo gli strumenti adatti saprà cogliere”¦ mentre gli altri penseranno che tutto avesse solo scopo promozionale.
Pare che questa modalità distributivo-relazionale stia funzionando bene nei comparti della moda. Forse perché i clienti hanno più che mai bisogno di sentirsi coinvolti, di provare emozioni nuove, di toccare con mano l’oggetto dei loro sogni”¦
Il pop-up store, in certi casi, potrebbe davvero lasciare al cliente la facoltà di sperimentare continuamente, con la garanzia rassicurante della marca di fiducia. Perché, quindi, non estenderlo ad altri campi del fashion-system? Una domanda (che retoricamente è pure un consiglio) che ci potremmo porre è ad esempio: perché il settore orafo non segue di più logiche simili a quelle della moda, per cui ad ogni stagione corrisponde una nuova collezione in linea con le tendenze? Nella fattispecie il problema sarebbe, semmai, quello di destagionalizzare un po’ i trend, nel contempo fidelizzando i clienti. Il gioiello, in fondo, è da tempo diventato un veicolo di valori di marca che spesso esulano dalle sue caratteristiche oggettive, facendosi portatore di valenze esperienziali e simboliche. Si pensi, ad esempio, all’operazione compiuta da Chanel nella cosmesi di lusso, dove nel maquillage ha introdotto palette effimere in astucci originali che seguono le collezioni moda, per cui il messaggio alle clienti è duplice: la capacità della marca di proporre innovazioni in linea con le tendenze attuali e la necessità di effettuare l’acquisto in tempi brevi, stimolando il collezionismo e la ricerca di prodotti in esaurimento.
Insomma, il marketing è già arrivato alla fase della programmazione dell’obsolescenza della singola proposta in nome della salvezza del brand. Se non è una novità questa”¦