Prato e la sua cintola
“Non c’è via più sicura per evadere dal mondo, che l’arte, ma non c’è legame più sicuro con esso che l’arte”. Johann Wolfgang Goethe, Le affinità elettive, 1809
“LEGATI DA UNA CINTOLA – L’ASSUNZIONE DI BERNARDO DADDI E L’IDENTITÀ DI UNA CITTÀ”: questo il titolo di una mostra di grande significato per la città di Prato che sta per chiudersi dopo cinque mesi -il 7 Settembre 2017, l’inaugurazione- di meritato successo.
Domenica 25 Febbraio, nella affascinante cornice di Palazzo Pretorio -perfetto testimone di oltre settecento anni di storia-, le 60 opere (di cui moltissime prestate da vari Musei sia nazionali che internazionali come il Metropolitan Museum di New York, il Museo Poldi Pezzoli di Milano, i Musei Vaticani, la Galleria Nazionale di Parma…) che ripercorrono il tema del dono della santa Cintola a San Tommaso da parte della Madonna al momento dell’Assunzione e il conseguente arrivo a Prato intorno al 1141 attraverso le mani del mercante pratese Michele -che poi la consegnò in punto di morte al proposto della Pieve- torneranno ai propri luoghi di provenienza.
Cuore fra tutte le opere esposte… la spettacolare pala dipinta tra il 1337 e il 1338 da Bernardo Daddi ricostruita appositamente per l’occasione con la riunione delle tre “parti” -divise tra New York, Prato, Roma-, vale a dire la tela dell’Assunta e le due predelle raffiguranti una il “viaggio” della preziosa reliquia da Gerusalemme alla Toscana e l’altra la “migrazione” del corpo di Santo Stefano da Gerusalemme a Roma. Una serie di altri ricchi dipinti -insieme a miniature, sculture, cinture profane ma emblematiche- accompagnano il percorso della mostra -suddivisa in sette parti- rendendolo carico di intima rivelazione e di notevole pathos.
Un’esposizione che ha sottolineato la forte valenza di un simbolo decisivo per la città, potente punto di riferimento di una intera comunità che per le proprie fondamenta e i legami ad esse sottesi dimostra particolare rispetto e spiccato amore.
Frutto di un progetto debitamente pensato dal Comune di Prato in collaborazione con la Diocesi cittadina -Andrea De Marchi e Cristina Gnoni Mavarelli i ligi curatori- e di un desiderio volto a mettere in luce l’iconografia di un tema così “unico” in un ambiente allestito in modo altamente suggestivo, la mostra ha accolto più di 19mila visitatori -come ha orgogliosamente comunicato Simone Mangani, assessore alla cultura del Comune di Prato- e ha creato attorno a sé un’aura degna della storia che vi è insita.
Ma qual è la storia?
Tutto parte dalla reliquia del Sacro Cingolo, la cintura di Maria Vergine custodita nel Duomo di Prato (nella Cappella del Sacro Cingolo, abitualmente preclusa alle visite, ma aperta ora per l’evento in corso), giunta qui dopo varie peripezie nei primi anni del XII secolo e divenuta fedele mito identitario di una comunità immersa, fra il Due e il Trecento, nel suo periodo più fecondo dal punto di vista artistico. Devozione, arte, tradizione…. intrecciate da quel momento per rafforzare anno dopo anno il senso di appartenenza di una intera città che in questo vero e proprio “patrimonio” dal valore taumaturgico ritrova e rinnova il legame (“tutto è legato -la mostra “È” questo-e noi siamo amministratori per godere di momenti come questo”, ha affermato il sindaco durante la conferenza stampa nel giorno dell’inaugurazione) con le proprie radici e la propria storia di ieri, di oggi, di domani.
La genesi del culto della cintola (87 centimetri di sottile stoffa verde decorata in oro -probabilmente in lana di cammello o di capra -, con due cordicelle a guisa di allacciatura) ci rimanda ai primi anni del 1100. La leggenda vuole (a partire da un testo apocrifo del V-VI secolo) che, nel momento culminante della salita al Cielo, Maria abbia donato a San Tommaso, staccandolo dalla sua veste “liberata”, il laccio che la ornava. Con inestricabile narrazione di passaggi, si pensa sia “caduta fortunosamente” nelle mani di un mercante pratese (Michele, che dalla Terra Santa la portò nella sua cittadina natale) e che lì abbia definitivamente trovato la sua casa e la sua “culla”.
Simbolo -religioso e civile-, fulcro intorno a cui giostrare, connettore di rilevanti situazioni a seguire, segno dell’elezione della città -così “prescelta” e posta sotto la protezione mariana-, focus sempre “acceso” per essere rinvigorito da nuove iniziative e da nuovi stimoli, “abbraccio circolare” che invita a “cingersi” l’un l’altro con amichevole enfasi, modello -soprattutto!- di unità e di aspetto relazionale: tutto questo è e incarna il Sacro Cingolo, portatore di sentimenti lievi ma connotati da forte carattere, difensore di un vissuto che crea coesione e sana appartenenza, specchio di una ritualità -quella legata all’ostensione in determinati periodi dell’anno- attesa con affettuosa trepidazione, testimone della possibilità per tutti di crescere sempre più a partire dal riguardo verso ciò che ci ha preceduto e ha fatto di noi quel che siamo.