“Priscilla la regina del deserto”: drag queen da Oscar
Quando si pensa al rapporto tra moda e cinema, è inevitabile pensare a film storici dai costumi sfarzosi e ricercati che accompagnano la vita di una famosa regina, duchessa o dama, oppure a film che narrano come si vive dietro una rivista di moda e fanno vedere il lato “glamour” dell’industria dell’abbigliamento. E’ difficile che venga in mente altro, e anche i film premiati con l’Oscar per il migliore costume lo dimostrano: viene quasi sempre assegnato a un film storico, trascurando fantasy e film d’ambientazione contemporanea.
“Priscilla, la regina del deserto”, film del 1994 da cui qualche anno fa è stato tratto un musical, che pochi mesi fa è sbarcato anche in Italia, è una piacevole eccezione: nel 1995 si è guadagnato l’Oscar per i migliori costumi, realizzati da Lizzy Gardiner e Tim Chappel. Molte persone si stupiranno a sentire questa notizia, proprio perchè è un film “inusuale”, in particolar modo dal punto di vista dei costumi. Infatti, narra la traversata del deserto australiano realizzato da due drag queen, Anthony e Adam, e da un transessuale, Ralph, sulla sgangherata roulotte “Priscilla”, chiamati per mettere in scena il loro solito spettacolo di grandi successi musicali cantati in playback. E il loro viaggio, lungo e travagliato, per gli spettatori si trasforma in un soggiorno nel loro mondo stravagante e multicolore, fatto di pailettes, brillantini, rossetti, ciglia finte, parrucche enormi e colorate, abiti luccicanti e esagerati e tacchi vertiginosi. Per non parlare dell’enorme decollettes decorata con pailettes d’argento fissata sul tetto della loro roulotte. Bisogna però dire che i loro sono costumi di scena, che indossano solo quando si esibiscono o quando vanno in giro per strada, a parte Ralph, che si veste sempre come una donna normale, cercando di dimostrare una certa classe. Anthony e Adam, invece, per la maggior parte del tempo sono vestiti come uomini normali, che nessuno prenderebbe per drag queen, sebbene Adam curi anche troppo il suo modo di vestire. Certo, quando si esibiscono si vestono da lucertole o da cigni, oppure indossano parrucconi fioriti, girano per strada con abiti di infradito, e scalano Ayers Rock con tanto di abiti svolazzanti e strabordanti di piume e tacchi altissimi, ma dovrebbe destare più stupore il modo di vestire provocante e a volte blasfemo di molti cantanti che oggi affollano la scena musicale. Invece, i loro costumi di scena sono decisamente esagerati e assurdi, ma non è detto che siano volgari, forse il loro mestiere, per quanto strano possa sembrare, è una forma d’arte. Lo si capisce quando, per un guasto della roulotte, giungono in un piccolo paesino sperduto, e viene loro chiesto di esibirsi nel locale della cittadina. Acconsentono solo dopo molte preghiere, ma il loro solito spettacolo non piace alla gente del posto, che in compenso si entusiasma all’arrivo di una spogliarellista inguaiata in una tutina aderente e scialba, con tanto di stivali e guanti coordinati, che si esibisce in numeri osceni. I tre protagonisti rimangono attoniti non perchè viene loro preferita una donna – non è affatto il loro obiettivo -, ma per la qualità dello spettacolino che la spogliarellista mette in atto, ben diverso dal loro.
Insomma, per quanto solitamente si tenda a evitare il loro mondo e a considerarlo disdicevole, alla fine ci si affeziona a questo trio sgangherato, e si fa il tifo per loro. E per una volta si è contenti di aver cambiato prospettiva.