Pura femminilità nella collezione A/I 2016-17 di Luisa Beccaria
Una donna contemporanea che cammina in bellezza -nella bellezza perenne-, per la sfilata A/I 2016-17 di Luisa Beccaria.
Degna cornice di questa “marcia” entusiasmante messa in scena davanti a un parterre traboccante di estimatori, le sale di Palazzo Bovara -sede milanese dell’Unione del Commercio e del Turismo-, esempio spiccato del neoclassicismo lombardo con chiare tracce dell’intervento dell’architetto Portaluppi avvenuto dopo i danni causati dai bombardamenti del ’43.
Tra marmi preziosi, volte ariose, legni intarsiati, stucchi simili a meringhe……ecco sfilare le principesche indossatrici scelte con cura e con coerenza di stile da una donna che conosce bene quel che fa. Sulle note delle meravigliose musiche del giovane compositore Alberto Traversi, abbiamo apprezzato un connubio di arte, cultura, moda, armonia, beltà.
Un abbraccio tra passato e presente, un incontro tra natura e forma, un intreccio tra romanticismo e concretezza, un dialogo tra bon-ton e boho chic (un bohèmien ricercato).
Stratificazioni a gogò per coprire e scoprire, svolazzi gentili a muovere l’aria circostante, colori che si mescolano e sfumano come nel pennello di un sapiente pittore dedito a cercare la perfezione del suo disegno (“Il dipintore disputa e gareggia con la natura”, lascia detto Leonardo nei suoi Codici!).
Poesia per gli occhi, dunque, nell’avanzare delle fanciulle di Luisa. Visi che sembrano ritratti delle giovanissime dame del Pollaiolo, figure che assomigliano a quelle impresse sulla tela da Hayez.
Una sicurezza nuova che palesa una timidezza antica, superandola e dandole carattere.
Difficile restare indifferenti di fronte a quei velluti -offerti a profusione trasversalmente a tutto-, a quei ricami -ricorrenti su abiti, maglie, corpetti, gonne-, a quei volumi -leggeri come piume e soffici come nuvole-.
Spille raffiguranti volatili dalle ali distese -simbolo forse di un sogno liberato- impreziosiscono baveri e cinture, lavorazioni a sangallo spuntano dalle maniche e dagli orli dei lunghi cappotti a vestaglia.
Lo chiffon si adorna di temi floreali -presenti in grandissima misura- e le trasparenze si fanno ora audaci ora schive.
Il punto vita è quasi sempre sottolineato -come l’impugnatura di un delicatissimo vaso Lalique- e le scollature trovano sempre la giusta misura per dare grazia al collo, spesso guarnito da un choker con perla, e all’incarnato, prevalentemente pallido e roseo.
Le maglie, pensate per una dinamica quotidianità, obbediscono a un filo conduttore preciso.
Una magistrale cappa color vaniglia di velluto liscio lunga fino ai piedi ruba applausi sentiti e sinceri agli astanti che affollano ogni spazio disponibile.
Una giacca cinturata in mohair color azzurro cielo, intonata agli occhi della bionda creatura che la indossa, cattura lo sguardo che cerca di seguirla fino a quando scompare.
Ci inebriano le foglie tridimensionali e le losanghe di fiori applicati sul tulle e sui broccati degli abiti da sera, riportandoci alle atmosfere fiabesche di certe pellicole, viste e riviste, rimaste nel cuore fin dalla prima volta.
E, tra i verdi freschi, i rosa intensi, i panna luminosi, ci fa invaghire -non ci stanchiamo di ripeterlo- tutto quel blu, quel celeste, quel turchese, quel pavone, quell’ottanio, quel petrolio…..
Ogni volta un tono diverso, a seconda del tessuto col quale si mostra, ogni volta un tono nuovo.
Un’attrazione che chiama e incanta, come certi cieli o certi sfondi della grande arte europea tra Sette e Ottocento.
Un invito, questa emozionante manifestazione, a non perdere di vista il fascino indotto dalla grazia innata e dalla dolcezza spontanea di una donna che non rinuncia per nulla al mondo a vestirsi “da donna”.
E che lo comunica con forza e con sicurezza a chi, confuso da mille sirene stonate, rischia di non poter più riconoscere la realtà.
Sì, perché come ci lascia scritto Oriana Fallaci in quel suo “Lettera a un bambino mai nato”, “Essere donna è così affascinante. È un’avventura che richiede un tale coraggio, una sfida che non annoia mai”.