Quando l’abito faceva il monaco
Oggi ci sono i testimonial, personaggi famosi (più o meno giustificatamente) che dietro astronomico compenso fanno bella mostra di sé con indosso un capo griffato, lanciando il (tutt’altro che subliminale) messaggio: “Fate come me: compratelo pure voi!”. Ieri c’erano persone celebri (quasi sempre meritoriamente) che per piacere personale sceglievano di portare un abito o un accessorio, facendolo passare alla storia come un fenomeno di costume. Spesso, se pensiamo ad una star del cinema o ad un aristocratico del passato, li identifichiamo immediatamente con uno specifico oggetto di moda che è diventato un elemento della loro stessa personalità e professionalità oltre che del loro aspetto esteriore.
Probabilmente il twin-set non avrebbe goduto della fama che conquistò nel dopoguerra (e che perdura tuttora) se non fosse assurto ad indumento preferito della grande diva scozzese Deborah Kerr che in quel completino due pezzi con maglia girocollo a mezze maniche e cardigan a maniche lunghe (in Italia ribattezzato “Giulietta e Romeo”) trovò l’ideale – per qualità dei filati e aderenza di corpo – da utilizzare come sottogiacca o anche da solo con un filo di perle. Grazie a lei, il twin-set in tinta unita divenne l’emblema delle signore chic in cerca di un look casual raffinato che permetteva addirittura di tenere la giacca sulle spalle senza violare i codici del bon ton.
Un discorso analogo vale per il trench in tessuto impermeabile di lana, formidabile per proteggersi dagli agenti atmosferici, del quale il grande attore hollywoodiano Humphrey Bogart fece la sua uniforme, presto imitato da uomini in tutto il mondo. Non c’è chi non ricordi l’immagine finale del film “Casablanca” in cui il divo si trasforma in un’icona col suo impermeabile Aquascutum stretto in vita dalla cintura (annodata, dato che lui non amava usare la fibbia), il bavero rigido rialzato, le mani in tasca. Prima di Bogart solo l’esercito inglese si era interessato a questo tessuto, che poi entrò nel mito al pari del suo inconsapevole “ambassador” globale.
E che dire della maglietta con il coccodrillo, la cui buona sorte è legata al grande tennista francese Renè Lacoste? Costui (soprannominato “il coccodrillo” per la sua grinta) agli inizi degli anni ’30 del secolo scorso appese la racchetta al chiodo, come si suol dire, per avviare una propria attività imprenditoriale lanciando una polo come quella utilizzata dagli sportivi, ma “ripensata” ad uso di tutti, ovvero con maniche più corte, abbottonatura più breve, colore bianco (anziché il solito beige), destinata in seguito a colorarsi di tutte le tinte dell’arcobaleno. Fu un successo clamoroso, di cui non si è ancora spenta l’eco.
D’altro canto, fu il mondano Edoardo VIII, Principe di Galles, a sdoganare il tessuto che porterà il suo titolo. Fu infatti lui, marito della “scandalosa” Wally Simpson, il primo ad indossare un abito a righe e quadretti intersecati, che rapidamente impose un nuovo trend. Ad Edoardo è associata in generale l’immagine del perfetto gentleman inglese quintessenza dell’eleganza: mocassini in camoscio con i lacci, panama estivo in paglia intrecciata, modelli sartoriali confezionati a Savile Row, nodo di cravatta e colletti di camicia morbidi, polsini doppi con gemelli, giacca da smoking e pantaloni con la gamba più ampia di quella dei classici a tubo, tanto per citare alcuni suoi vezzi “British style” che fecero scuola. Il Principe amava definirsi un fashion leader “con i sarti come miei showmen e il mondo come mio pubblico”.
Anche la regina d’Italia Margherita di Savoia è rimasta legata nell’ immaginario collettivo, da un lato, alle collane di perle, dall’altro al leggendario abito che indossò il 22 Aprile 1868 in occasione delle sue nozze con il principe ereditario Umberto. Si trattava di un abito bianco increspato (a costine orizzontali) con ricami in argento, corpetto che esaltava il décolleté, a maniche corte, stretto in vita da un’alta fascia finemente decorata, mentre sulle spalle le scendeva un mantello lungo quasi quattro metri. Il vestito era adorno di margherite, rose e fiori d’arancio (fu lei a lanciare la moda dei ricami floreali sugli abiti); nei capelli chiari rilucevano una rosa e due stelle di diamanti; al collo la magnifica collana di perle appartenuta a Maria Adelaide di Savoia. Persino i couturier parigini furono incantati dalla fastosità del modello, riproponendolo nei loro atelier. Da allora il nostro “archetipo” di abito da sposa è così!
Ma l’affascinante Margherita (che tra l’altro promosse la fondazione di una rivista di moda e gossip) fu soprattutto la “La regina delle perle”: è stato calcolato che in trentadue anni di matrimonio Umberto le regalò sedici lunghissimi fili di perle… sapendo che ogni giro equivaleva ad almeno una scappatella amorosa. Sappiamo da una nota della medesima sovrana che nel suo scrigno vi era una superba collana a dieci fili con 684 perle in totale! Non si scordi, tuttavia, che persino la Regina Margherita – come recita un celebre detto – mangiava il pollo con le dita!
Alla fin fine è tutta una questione di carisma.