Quattro chiacchiere al Museo del Bottone con Giorgio Gallavotti
Ad oggi sono centoquarantaquattro le nazioni presenti sul libro delle firme su centonovantasei paesi esistenti al mondo; per una media di quarantamila visite l’anno con un picco di cinquantaduemila, nel 2014. Ubicato in quel di Santarcangelo (Emilia Romagna) il Museo del Bottone nasce nel 2008 da un’idea di Giorgio Gallavotti, cofondatore dell’Associazione Italiana Piccoli Musei nonché uomo di grande profondità e competenza che porta avanti il suo progetto con impegno e dedizione.
Con noi di Imore per un’appassionante cronaca sul tema.
Signor Giorgio, quale è la storia del suo Museo?
Risponde con l’entusiasmo di chi custodisce nell’intimo quella divina sensazione di essere riuscito ad esprimersi pienamente.
“Io mio padre e mia moglie abbiamo venduto bottoni per tutto il 1900. Mio padre negli anni venti rilevò un vecchio bazar chiuso da tempo, all’ interno del quale trovò una parete di bottoni stile liberty e art déco raffiguranti oggetti di uso comune o avvenimenti di carattere sociale.
Negli anni ottanta, riflettendo sul fatto che ognuno di quei bottoni rappresentava un’ importante tessera di storia per il fatto di possedere, attraverso la sua simbologia, un significato non casuale, partii da quella parete per iniziare a porre le basi di un museo del bottone del costume e della moda.
Il mio è l’unico museo al mondo che tratta, attraverso la simbologia del bottone, di storia sociale, politica ed economica, oltre che di moda. Lo fa raccontando la storia di quattro secoli attraverso, badi bene, non il “lusso” del bottone, ma soffermandosi sull’uso e il significato intrinseco dell’oggetto; ed ecco che, il valore di due bottoni da cinque centesimi in poliestere appartenuti agli astronauti Samantha Cristoforetti e Luca Parmitano, è identico al valore del bottone disegnato da Pablo Picasso per Coco Chanel negli anni 20’ su una maiolica con un tocco d’oro. Con i primi, si racconta la fantastica avventura nello spazio, con il secondo, il rapporto tra Pablo Picasso e Coco Chanel. Come vede, il valore economico è agli estremi ma la valenza storica è identica.”
I bottoni hanno avuto un ruolo importante nel passato ai fini della rivelazione della classe sociale della persona. Conosce qualche aneddoto relativo ad uno o più personaggi storici?
“Ce ne sono moltissimi, potrei parlare per un mese intero, creda. Prima di risponderle le faccio una piccola premessa: nel mondo antico i bottoni erano prerogativa degli uomini, erano i loro gioielli, ed esprimevano la potenza, la ricchezza e il potere della persona che li indossava. Le donne invece usavano –veri- gioielli, e salvo casi rari, univano i lembi delle loro vesti con i lacci. Un abito poteva avere dai cinquanta ai duecento bottoni, e il materiale usato per la loro realizzazione era dal diamante in giù. Chiarito ciò, le racconto un aneddoto: Francesco primo, re di Francia nella prima parte del millecinquecento, si fece confezionare una veste di velluto nero con tredicimila e seicento bottoni d’oro. Doveva ricevere un sultano e voleva far vedere che tra i due, lui era il più ricco. Ragioni diplomatiche non permettevano al re di dire al sultano: “io sono più ricco di te”; fece parlare i suoi botton: ed ecco che saltano fuori vizi e virtù dell’umanità raccontati dai bottoni.”
Vuole raccontare la vicenda dei bottoni di Papa Francesco?
“Deve sapere che quando abbiamo aperto nove anni fa, avevamo ottomila e settecento bottoni, ora siamo ad oltre tredicimila esemplari provenienti dai cinque i continenti. Una volta conquistato il quinto continente e poi anche lo spazio, mi son detto: “e adesso, per andare avanti come si fa?”; ho alzato gli occhi al cielo e mi è venuta un’ illuminazione; ho pensato: “li chiediamo a Papa Francesco!” Per avere la certezza che Papa Francesco mi mandasse i bottoni, ho voluto essere perfetto in tutte le mie cose. Lo scorso anno di questi tempi ho iniziato a scrivere una lettera che ho spedito il 29 novembre, dopo innumerevoli riletture e modifiche per giungere alla perfezione. Ho corredato la mia missiva con molti articoli di giornali sul museo, referenze sull’attività svolta in questi anni e delle foto di alcuni quadri con dei bottoni di Birkenau Auschwitz in Polonia, che hanno molto interessato il Papa. I bottoni, con mia somma felicità, sono arrivati lo scorso gennaio”
Data la sua approfondita conoscenza in materia, potrebbe farci una breve relazione sull’evoluzione del bottone nel corso del 900’?
Con la sensibilità tipica di chi ha vissuto con occhio attento ai temi sociali oltre ad aver appreso riflettendo, racconta:
“ La moda dei bottoni dei primi del 900’ era caratterizzata dallo stile liberty e art déco proveniente dalla Francia: a quell’epoca i bottoni erano fatti di materiali come la bachelite, la galalite e la madreperla. Poco più in là, negli anni trenta, erano in voga bottoni realizzati in celluloide o tartaruga: si trattava di oggetti di grande pregio, appannaggio delle classi ricche, della nobiltà e delle alte cariche governative.Negli anni a venire, dopo la seconda guerra mondiale, lo stilista Balenciaga lanciò la moda dei bottoni importanti per i cappotti, realizzati perlopiù con resine naturali o la galalite. Con Il boom economico degli anni sessanta, i bottoni divennero dei veri e propri status symbo, si adoperavano le passamanerie fatte a mano, c’erano i bottoni gioiello e bottoni lavorati con la madreperla. Nel successivo decennio, a causa delle brigate rosse, ci fu una contrazione nella produzione di bottoni importanti: occorreva evitare di ostentare agiatezza per proteggersi dagli attentati. Imperò a quel tempo la moda del jeans, e i bottoni erano realizzati perlopiù in metallo.Alla fine degli anni settanta e per tutti gli anni ottanta, ridimensionate le brigate rosse con l’uccisione di Moro e della sua scorta, il bottone divenne uno degli elementi più importanti di un abito.
Io vendevo bottoni fino al 1992, anche ad oltre cento mila lire l’uno.
Nel novantadue, con l’avvento di tangentopoli e la susseguente crisi politica, le industrie, spaventate dal clima di precarietà, ebbero una battuta d’arresto e nonostante alla crisi politica non si affiancasse una crisi economica, ridimensionarono notevolmente la produzione e parecchie fabbriche chiusero.
Oggi non c’è più il culto del bottone, e parecchi couturier usano gli automatici a pressione, le chiusure lampo e il velcro per chiudere i capi spalla, se non addirittura nulla.”
Raccoglie bottoni provenienti da ogni parte del mondo. Qual è il bottone in suo possesso rinvenuto nel luogo geograficamente più lontano rispetto al nostro paese?
Nella mia collezione ho bottoni del South Africa, ho bottoni australiani, ho bottoni provenienti dal Giappone, dal Perù, dal Canada, ma soprattutto ho ben 64 bottoni che vengono dalla Patagonia tutti in materiale naturale. Nel 2017, in questo meraviglioso paese, è stato inaugurato un museo del bottone ed io ho avuto l’onore di avere intestata una delle quattro sale che lo compongono, un bel riconoscimento!
Quanti tipi di bottoni esistono?
“Oh guardi, una infinità! Ci sono i bottoni dell’ostentazione, della comunicazione, della provocazione, i bottoni a luci rosse, del gossip, del contrabbandiere, da lutto, della superstizione, il bottone birichino che si presta al gioco della seduzione fra uomo e donna. Da poco ho scoperto anche il bottone dello spogliarello!”
I pezzi più preziosi del suo archivio sono…
“Ho un bottone di Pablo Picasso, uno con raffigurata Maria Antonietta, bottoni di Lorenzo il Magnifico, di Maria Luisa d’Austria, di Mozart, di D’Artagnan, ci sono i mosaici fiorentini dell’opificio delle pietre dure, antichi bottoni giapponesi.”
Ha un bottone preferito?
“Si! E’ un bottone che ho acquistato negli anni ottanta in un mercatino. L’ho pagato cento lire, è di metallo stampato in due parti; sulla sinistra, c’è scritto USA, sulla destra, CCCP, il Cremlino, Mosca e l’URSS: siamo negli anni settanta, è finita la terribile guerra fredda ed è iniziata la distensione, finalmente si inizia a parlare di pace. La simbologia delle due potenze sul bottone è un grande messaggio di pace e fratellanza fra i popoli.
Ecco perché è il mio preferito.”
Sogni per il futuro del museo?
“Tengo convegni e conferenze sulla storia del bottone muovendomi in giro per l’Italia. Mi piacerebbe molto poter tenere questi incontri nella sede del museo. Per far ciò occorrerebbe uno spazio dedicato e dei fondi per acquistarlo….” dichiara con un lieve accenno di malcontento al riguardo delle istituzioni poco sensibili alla sua causa.
Giunti al momento del congedo, dopo esserci augurati reciprocamente il meglio per le nostre vite, il signor Gallavotti ironicamente afferma: “scusa sai, se ti ho attaccato un bottone!” ed io, riflettendo tra me e me, giungo alla conclusione che vorrei un bottone così, almeno una volta al giorno!
Una piccola postilla:
Qualche giorno dopo la pubblicazione di questa intervista, abbiamo ricevuto una e-mail molto cordiale da Amanda Destro, la fondatrice del museo del bottone di Panama; la gentile signora, ci ha raccontato che in seguito ad un viaggio in Italia fatto qualche anno addietro con la sua famiglia e alla visita al museo del bottone di Giorgio Gallavotti, fonte di grande ispirazione, ha fondato, lo scorso luglio 2016, il museo del bottone a Panama www.museobotonespanama.com. Il polo è nato con l’intento, tra gli altri, di promuovere la cultura del collezionismo. Ci pare soprattutto interessante rilevare come sia rallegrante che il “bello ben fatto” si propaghi per il mondo e sia di esempio per perseverare nel bene.