Questa moda è uno spettacolo. O No?
Come pani e pesci di evangelica memoria, si vanno moltiplicando gli eventi nel settore moda, all’insegna del “di tutto, di più”, alla ricerca spasmodica dell’alta emozionalità, visibilità, attrattività. Il timore è che accada come in quei talk show dove tutti parlano (talvolta urlano) sovrapponendo le voci, così che non si distinguono più le idee dei singoli partecipanti e, in sostanza, non si capisce più nulla. Nella moda, parimenti, a furia di cambiare canale, ci si sta sintonizzando su una sorta di rumore di fondo, finché emerge il boato di un nuovo speaker che si sforza di gridare più forte, assomigliando all’angosciato omino di Munch.
Sembra quasi che taluni abbiano paura della civile conversazione, di un vero confronto con se stessi e col mondo, illusi che per uscire dalla crisi basti apparire, farsi un peeling epidermico, anziché ripensare la propria missione e le proprie strategie.
Gli eventi prolificano – replicherà qualcuno – per consentire alle imprese di mostrare, promuovere, comunicare al business, al barnum mediatico, ai consumatori, i propri prodotti e valori, per sviluppare concrete opportunità di business.
Già, ma sono troppi ormai quanti ritengono che, per essere innovativi e trendy agli occhi dei propri pubblici, sia sufficiente qualche anglicismo nel nome della manifestazione, che magari nella sua essenza si presenta come la solita minestra (a proposito dell’eccesso e sovente dell’incongruenza dei termini inglesi, mi si lasci ricordare per inciso che essi dovrebbero promuovere l’idea del made in Italy!).
Non si intende qui negare o meramente porre in dubbio l’importanza degli eventi come strumenti di comunicazione dai molti vantaggi per la moda italiana; si vuole solo osservare come sempre più frequentemente questi strumenti (di marketing, in senso tecnico) proliferino indifferenziati, senza personalità, risolvendosi in operazioni di pura immagine di cui non rimane neppure l’eco. L’aspetto più serio, tuttavia, è che peccano di troppa autoreferenzialità e finiscono per comunicare poco (o poco di più di quanto non farebbero se non esistessero affatto), soprattutto perché non appaiono inseriti in una chiara e coordinata strategia, dando così l’impressione della occasionalità (persino quando acquisiscono il blasone della periodicità perpetua). Non parliamo poi dell’investimento finanziario che comportano (oltretutto in tempi di vacche magre), nonché dell’impegno temporale ed energetico (a volte veri e propri tour-de-force) a cui costringono gli addetti ai lavori, forzati a peregrinare da un luogo all’altro, in “città della moda” che con i loro servizi inefficienti sembrano più ostacolare che favorire chi la moda la “fa” davvero.
Fatto grave è se il pullulare degli eventi cela il timore di aziende ed enti del sistema moda di guardarsi allo specchio e fare i conti con se stessi, oggi che siamo arrivati al redde rationem per molti. Forse è più facile tuffarsi nella frenesia mondana della manifestazione di nuovo conio che fissare la medusa dei propri problemi.
In generale, mi sembra giunto il momento di impostare daccapo, coscientemente, la filosofia dello show, che comunque resta il più antico sistema inventato dall’uomo per trasmettere messaggi (non era lo stesso Shakespeare a scrivere che “il mondo è uno spettacolo”? E, d’altro canto, la divina Marilyn cantava: “There is no business like show business”). Mi chiedo: possibile che noi Italiani, così pieni di fantasia, competenze, conoscenze, buon gusto, non sappiamo far di meglio che inventare nuovi eventi dai nomi mutuati d’oltremanica per uscire dal tunnel della recessione?
Chissà, forse questo è il mainstream contemporaneo del nostro Paese, dove persino l’informazione e finanche la politica si avvicinano asintoticamente allo show…
Il punto è che molti attori del sistema moda rischiano, oltre che di farsi del male in termini strategici individuali, di minare le fondamenta stesse del mito dell’Italian Fashion, che non si edifica né corrobora semplicemente affiancandogli degli eventi. Per concludere con un aneddoto esemplare, citerò la sublime Coco Chanel la quale, a chi tentava di accostare alla Monroe l’insipida Catherine Deneuve, rispondeva: “Non si distrugge un mito mettendole di fronte una donna”. Appunto.