ROSSO E’ BELLO!
Quale miglior stagione dell’estate per indossare un bel gioiello in corallo? Parliamone.
Nel più remoto passato, agli albori della civiltà, l’uomo era già a conoscenza del corallo, che usava soprattutto come talismano per propiziarsi la fortuna. Da sempre, curiosamente, il colore rosso viene associato all’idea di vita e di bellezza.
Ancora in epoca preistorica il corallo cominciò ad essere destinato ad impieghi diversi: medicamento panacea, antidoto ai veleni, afrodisiaco, fertilizzante, moneta da baratto, ornamento, perfino laterizio. Simbolo di bellezza fisica nella mitologia greca, di ricchezza in India, di longevità in Giappone, di potere in Cina ed in Africa (basti pensare che ancor oggi nel Benin per partecipare ad un evento in società, un battesimo od un funerale, bisogna obbligatoriamente indossare ornamenti di corallo).
Il famoso scrittore naturalista romano Plinio il Vecchio, il filosofo greco Teofrasto ed il medico Dioscoride furono tra i primi a classificare il corallo come essere vivente (di origine vegetale), negando così le teorie mineraliste fino ad allora dominanti. Nessuno, comunque, prendeva in considerazione l’ipotesi che esso potesse appartenere al regno animale. Solo nel 1600 un alchimista ed astrologo napoletano, certo Filippo Fanella, lo citò nei suoi scritti come tale, ma la notizia non fu ritenuta degna di attenzione. Un secolo dopo, pero, esattamente nel 1723, un medico marsigliese di nome Andrea Peyssonnel, sancì definitivamente la natura animale del corallo, definendolo anzi composto da una “colonia di animali”, ed una commissione di studiosi riconobbe finalmente l’attendibilità e l’importanza delle ricerche condotte dallo scienziato francese.
Non si contano i testi dedicati all’affascinante “oro rosso”, ma tuttora l’opera fondamentale in materia resta “Histoire Naturelle du Corail” di Henry Lacaze-Duthiers.
Il corallo, quindi, altro non è che un “polipaio” del genere “Corallium”, Celenterato della classe degli Antozoi, ordine dei “Madreporari”. Per quanto riguarda la specie, invece, il discorso si fa più complesso, dal momento che ne sono note ben 27 varietà presenti in tutto il mondo, dal bacino del Mediterraneo al Giappone, dalle Filippine alle Hawaii, diversamente denominate e differenti per colore, profondità di pesca, morfologia, dimensioni e peso del corno (*).
Il corallo ha rappresentato in ogni epoca il “gioiello” per ogni tasca, destinato non solo ad uso decorativo personale, bensì anche all’abbigliamento, alle armi, agli arredi domestici e religiosi (oggi è l’Olanda il Paese che più usa il corallo nella realizzazione di costumi regionali tipici, mentre in Italia sono Alto Adige ed Abruzzo a sfoggiarlo più significativamente).
Premesso che fino ad oggi si ignora qualsiasi indicazione sull’epoca e sul popolo che per primo ha praticato la manifattura del corallo, è possibile comunque documentarne l’origine in epoca preistorica, grazie ai reperti archeologici portati alla luce.
Nel 1858, ad esempio, durante l’attività di costruzione di una strada ferrata presso Basilea, in Svizzera, tra i resti di una palafitta neolitica (8000 a.C.) furono rinvenuti dei frammenti di corallo lavorato. Nei primi anni del 1900, poi, nel Wurtemberg, furono scoperti in una caverna preistorica numerosi ornamenti personali, fra cui qualche corallo forato, mentre in Alta Baviera, presso Costanza, venne trovato uno spillone di bronzo con applicazioni di corallo (probabilmente usato per ornare un’acconciatura femminile). Il più antico corallo inciso resta, tuttavia, quello reperito nella cosiddetta Grotta dei Piccioni, in provincia di Chieti.
Si ritiene, ciononostante, che la lavorazione del corallo in epoche tanto remote fosse per lo più occasionale e svolta su scala modestissima. Proprio per questo, nel vicino Oriente l’impiego di tale gemma era affiancato a quello dell’oro e di altri materiali preziosi.
E’ stato accertato dagli archeologi che grandi popoli all’origine della nostra civiltà, come Sumeri, Egiziani e Fenici, praticavano con abilità l’incisione del corallo. Ed i Celti nutrirono un vero e proprio culto per esso, al punto che, quando fu introdotto su mercati più remunerativi e cominciò a scarseggiare presso di loro, ne cercarono un sostituto nello smalto rosso.
I Romani, d’altronde, portarono ad alti livelli la lavorazione artistico-ornamentale del corallo, preferendone l’impiego in sé e per sé, senza combinarlo con altre materie preziose. Fra le innumerevoli esecuzioni, quella che a ragione può reputarsi la più perfetta ed espressiva opera corallina mai compiuta è una testa greco-romana di Giove Sereapide, custodito nell’ufficio privato del direttore del British Museum di Londra (alzi la mano chi non sta pensando “Beato lui!”).
Fino al Cinquecento il corallo viene utilizzato soprattutto per rosari e collane. Il che ne limitò la lavorazione a semplici operazioni di taglio dei rametti, arrotondatura e pulitura dei pezzi. Ma in quegli anni si ebbero anche i primi accenni di impiego nell’arte figurativa e nella scultura. La città siciliana di Trapani, in particolare, divenne un punto di riferimento per gli altri centri coralliferi mediterranei, specializzandosi in incrostazioni di piccoli manufatti nell’oreficeria destinata ad arredi sacri e domestici. Al 1570 risale la famosa “Montagna di Corallo”, donata dal Vicerè di Sicilia a Filippo II di Spagna, nella quale si può ravvisare l’apoteosi dell’arte scultorea isolana.
Figure sacre, pastori, cherubini, stemmi araldici commissionati dalla nobiltà dell’epoca, completavano l’estesa gamma dei prodotti tipici siciliani, per quanto significativa sull’arte trapanese fosse pure l’influenza dell’ispirazione levantina, che portò ad applicare il corallo a metalli come rame, bronzo ed argento. Nel 1633 furono approvate apposite norme per regolamentare l’attività dei corallari trapanesi, sulla scia di quanto avvenuto già 150 anni prima a Genova.
Agli inizi dell’Ottocento, benché Genova e Livorno godessero di notevole reputazione e velassero l’inesorabile declino in atto dell’arte trapanese, si manifestò il preludio alla definitiva concentrazione e “consacrazione” nel Napoletano di tutta l’attività relativa al corallo (nel 1805 a Torre del Greco sorse la prima “fabbrica”).
La storia attuale è quella di un successo che continua, grazie all’avveduta combinazione di sapienza artigianale e strategie di marketing.
Tra i maggiori problemi oggi riscontrabili nell’approvvigionamento, i corallari lamentano il forte ridimensionamento delle unità di misura del grezzo, una volta acquistato a quintali ed ora in chilogrammi, mentre il lavorato, un tempo disponibile a chilogrammi, viene trattato in grammi. E recentemente, in occasione della Conferenza di Doha (Qatar), i nostri corallari hanno rischiato che “l’oro rosso” venisse inserito nell’elenco Cites (che comprende le specie di fauna e flora minacciate di estinzione) e quindi bandito dal commercio. Pericolo per ora scampato. In tutto il bacino del Mediterraneo, tuttavia, si può riscontrare da tempo una sensibile contrazione nel numero delle “Coralline”, anche a causa dell’assenza di qualsiasi aiuto statale. In particolare, si auspicano interventi governativi volti ad incentivare la specializzazione nella lavorazione del corallo ed a favorire l’innovazione, per scongiurare che la crisi in atto nel comparto si aggravi ulteriormente. Il vantaggio distintivo e vincente degli operatori di Torre del Greco, di fronte allo spiazzante dilagare della concorrenza asiatica, resta comunque una più profonda conoscenza tecnica ed esperienza professionale della gemma.
Sarà dunque ancora rosso il futuro?
(*) I coralli lavorabili si possono suddividere in due gruppi: tradizionali e nuovi. Tra i primi ricordiamo le seguenti specie:
– “Rubrum” (denominazione commerciale “Sardegna”), di colore rosso uniforme, pescato nel Mar Mediterraneo ed in aree atlantiche dell’Africa, a profondità di 30-250 mt, con forma a cespuglio, altezza media 15 cm, diametro medio del tronco di 8 mm, peso medio 100 gr.;
– “Japonicum” (Moro/Aka), rosso scuro e scurissimo con “anima” longitudinale bianca, pescato nelle acque del Giappone e di Taiwan a 80-300 mt di profondità, dalla tipica conformazione a ventaglio, altezza media 25 cm, diametro medio del tronco di 12 mm, peso medio 200 gr.;
– “Elatius” (Cerasuolo/Momo), di colore rosso vivo, salmone, arancio carnicino con “anima” centrale bianca, originario delle isole di Taiwan e Giappone, colto a profondità di 150-300 mt, con forma a ventaglio, altezza di 35 cm, diametro del tronco di 25 mm, peso medio di 500 gr.;
– “Konojoi” (Bianco/Shiro), di colore bianco latteo o bianco punteggiato di rosso e rosa, pescato in Giappone e Hainan a profondità di 80-200 mt, con caratteristiche del corno simili a quelle della specie “Japonicum” (cfr. sopra);
– “Secundum” (Pelle d’angelo/Bokè), di tonalità rosa carne, pescato in Giappone, Taiwan, Hainan, corrente di Hong Kong, a profondità di 150-300 mt, con caratteristiche morfologiche della specie “Japonicum” (cfr. sopra).
Fra i coralli nuovi distinguiamo tre specie, non ancora classificate scientificamente, conosciute con le seguenti denominazioni commerciali :
– Rosato/Midway, di colore bianco o rosa punteggiato o venato di rosso o rosa chiaro uniforme, pescato nell’isola Midway a 400-600 mt di profondità, con caratteri pressochè simili a quelle dello “Japonicum” (il diametro medio del tronco è però di 15 mm);
– Garnet, di colore granato con sfumature rosa di varie intensità, pescato nell’isola Midway in acque profonde da 700 a 900 mt, con caratteristiche analoghe alla specie precedente;
– Deep Sea, rosso vivace, rosa chiaro, bianco, sempre venato o chiazzato di granato, pescato a nord-ovest di Midway a profondità di oltre un chilometro, con forma a ventaglio ed a tronchi paralleli poveri di rami primari e secondari, altezza media 30 cm, diametro medio del tronco di 10 mm, peso medio 150 gr.