Sapessi com’è ganzo finire in un romanzo
Pagare per entrare nelle pagine di uno scrittore? Perché no… Quando la moda fa capolino nell’arte in modo tutt’altro che subliminale, l’effetto di comunicazione può essere moltiplicatore. Lo dimostra il caso di Bulgari, che è stato il primo celebre marchio del “made in Italy” a sponsorizzare direttamente un romanzo – si badi: un’opera letteraria, non una monografia aziendale – per pubblicizzare e promuovere la propria immagine a livello internazionale. Infatti nel 2001 la nota maison di gioielli commissionò all’affermata scrittrice inglese Fay Weldon (ex-pubblicitaria, per la cronaca) un “novel” ambientato nel mondo dei preziosi, dal titolo ”The Bulgari Connection” (edito dall’americana Grove Atlantic), divenuto poi un best seller. E’ una strada interessante che anche altri brand del lusso, in particolare della moda, potrebbero seguire con ottimi risultati competitivi, economici, sociali.
Soffermiamoci sull’esempio pioneristico di Bulgari per comprendere meglio come funziona il meccanismo. Fin dalle prime pagine il romanzo della Weldon si colloca nella sfavillante gioielleria di Bulgari in Sloane Street a Londra – “in un ambiente color pesca e panna, tra creature eleganti e affascinanti”, dove tale Barley Salt, ricchissimo uomo d’affari, acquista per 18mila sterline un vistoso collier per l’avvenente seconda moglie Doris. L’autrice indugia in una descrizione particolareggiata della collana destinata ad “abbracciare” il collo della donna: uno sfavillante monile in oro giallo e oro bianco, con montatura asimmetrica e disegni bronzei dove spiccano tre antiche monete. La trama si focalizza sul rapporto tra il miliardario e la giovane consorte, evidenziando la vita lussuosa che la coppia conduce tra shopping di gioielli (tutti narrati con dovizia di dettagli), auto di grossa cilindrata, feste e aste benefiche. Comunque gli ingredienti topici per il successo del libro sono presenti al completo: soldi, sesso, violenza. In effetti la bella Doris ad un certo punto diventa il bersaglio della prima moglie del magnate, Grace Salt, la quale ordisce un complotto per assassinarla. Le due donne si incontrano e scontrano ad un’asta, dove si contendono, oltre ai soldi del marito, un dipinto raffigurante un magnifico gioiello griffato Bulgari.
In realtà, come ha malignato qualcuno, la trovata non è del tutto nuova: lo dimostra, ad esempio, il “vecchio” James Bond che, oltre alla licenza di uccidere, ha sempre avuto quella di reclamizzare – più o meno sfacciatamente – una varietà di prodotti, dalle pistole Beretta alle automobili Aston Martin, dai drink Martini agli orologi Omega. “The Bulgari Connection” tuttavia ridisegna la linea di confine tra letteratura e pubblicità, essendo stato scritto ad hoc per attrarre l’attenzione del pubblico sul gioiello.
A suo tempo intervistata dal “New York Times”, Fay Weldon ha affermato di aver nutrito in un primo momento forti dubbi sulla richiesta di Bulgari, ma di aver cambiato idea una volta stilato il plot (e una volta visto, forse, il cheque d’anticipo), dichiarando poi candidamente: “Bulgari mi aveva chiesto di citarlo almeno 12 volte, ma avendo ambientato il romanzo nella high society, e avendole dato protagoniste femminili ricche e ambiziose, ho superato facilmente l’obiettivo”. Ha anche aggiunto, a scanso di eventuali critiche da parte di colleghi “puristi”: “Che differenza c’ è se paga una ditta o paga un editore? L’ essenziale è che chi scrive creda nel suo romanzo”.
Dal canto suo Bulgari, per bocca dell’allora a.d. Francesco Trapani, ha spiegato che la pubblicità sui giornali ha fatto il suo tempo: i lettori ormai voltano pagina con un’occhiata distratta. “Per noi – ha puntualizzato – è importante collocare i gioielli nei libri, nei film o indosso alle dive di Hollywood”. Chiaro?
”Si tratta di un’iniziativa geniale e al tempo stesso raffinata”, ha sentenziato Michael Nyman, uno dei guru del marketing statunitense, a commento dell’opera. Alla fine però sorgono spontanei alcuni interrogativi pesanti come macigni che ci para dinanzi l’esempio di Bulgari (a cui nel frattempo si sono accodate altre aziende – di ogni settore – committenti di romanzi): qual è la frontiera tra letteratura e marketing? Per l’arte è un bene o no che prenda piede il racconto-réclame? Alle Muse e ai lettori l’ardua sentenza.