Se la Star è la marca
Jacques Séguéla è uno dei più grandi comunicatori del XX secolo, artefice di alcune campagne pubblicitarie passate alla storia (tra cui quelle presidenziali di François Mitterand). Da lui, che è anche un ottimo divulgatore di idee, il mondo della moda avrebbe molto da imparare, per quanto forse sia illuso di sapere già tutto in materia di comunicazione.
Ci siamo occupati di marche altre volte, sottolineandone il valore strategico, ma non le abbiamo mai considerate come fa Séguéla, ovvero al pari di potenziali “star”.
Secondo il vulcanico francese le merci (quindi i capi di abbigliamento e accessori), o meglio, le marche, devono diventare delle autentiche dive come quelle di Hollywood. La “star strategy” consiste nell’attribuire agli oggetti ed ai simboli della comunicazione un’aura che li faccia vivere come persone in carne ed ossa, in cui il pubblico desidera identificarsi. Sì, perché il pubblico non vuole semplicemente acquistare delle cose, sia pure belle e preziose, ma vuole sognare, ingannare l’infelicità, sconfiggere la noia”¦
“Ogni secolo ha i suoi slanci e i suoi limiti – ha scritto Séguéla nel suo libro “Hollywood lava più bianco” (Lupetti Editori) – Il nostro entrerà nella storia dalla porta principale. Inventando la fissione nucleare, il motore a reazione e il computer, questo secolo ha dominato la materia, abolito le distanze, centuplicato la meccanica umana. Ma in questo gioco diabolico dell’uomo che voleva essere dio, abbiamo perso il senso del gioco quotidiano”¦ Senza il riposo del guerriero non c’è più guerra. Senza l’appetito del consumatore, non ci sono più consumi”. Del resto non era lo stesso Shakespeare ad affermare che “il mondo è uno spettacolo”?
Ma cosa può fare concretamente la pubblicità per costruire una star, anticamera del “mito”? Sèguèla definisce un metodo che consta di 7 fasi:
1) la verità del prodotto: briefing del cliente per ottenere i dati di base su prodotto, concorrenti, mercato, clienti; analisi del prodotto per individuare diversi “fisici” possibili della marca;
2) la verità del cliente: ritratto cinese (questionario compilato dal cliente, che tratta la marca come un essere vivente); reazioni del cliente a differenti approcci creativi; elaborazione di differenti strategie di marca-persona;
3) la verità del consumatore: confrontare le ipotesi di comunicazione con le aspettative profonde dei consumatori, impiegando tecniche qualitative proiettive sui target-group;
4) la verità della marca-persona: “star strategy” (redazione di un documento sintetico che regoli ogni azione di comunicazione a lungo termine);
5) la campagna, ovvero l’espressione della verità: attuazione della strategia per i diversi mezzi;
6) il controllo della verità: pre-test, post-test, folder, seminario annuale, per guidare la creatività senza “castrarla”;
7) la prova della verità: “star system” della marca che applica le sette virtù della star (fedele a se stessa, paziente, tenace, perfezionista, non conformista, avventuriera, eterna).
Ciò significa che la marca deve sempre essere ben riconoscibile e coerente alla sua essenza, conservandosi tale nel tempo (celebre è rimasta la risposta che Coco Chanel diede al duca di Westminster che la chiedeva in sposa: “Al mondo ci sono già molte duchesse di Westminster. Ma c’è una sola Coco Chanel”). Deve saper attendere il suo “momento giusto” per il successo (l’attore Kirk Douglas nel 1963 acquistò i diritti per un romanzo-bomba sui manicomi americani, ma non trovò nessuno disposto a finanziare la produzione di un film; dopo aver aspettato pazientemente lunghi anni, nel 1975 lo fece realizzare al figlio Michael per la regia di Milos Forman; quel film era “Qualcuno volò sul nido del cuculo”, un successo travolgente). Deve essere costante nella sua vocazione: nessuno può sostenere due ruoli agli occhi del pubblico ( il grande James Stewart una volta confessò: “Ho cercato di fare il cattivo una sola volta, nel 1935, in Dopo l’uomo-ombra. Ero un assassino e il pubblico mi ha scacciato ridendo dallo schermo. Da allora faccio sempre la parte di James Stewart”. La marca-star deve anche interrogarsi continuamente, mettendosi in discussione con coraggio, per migliorarsi sempre (Ives Montand, mentre era ancora all’apice del successo come cantante, capì che doveva cambiare palcoscenico, ma non personaggio. E seppe reinventarsi autorevolmente come attore). La marca deve respingere il conformismo ed accettare l’imprevisto (Greta Garbo si rifiutò di stare al gioco di una cinematografia che la voleva diversa dal suo ruolo di “divina” e proprio in virtù del suo distacco da Hollywood divenne un “mito”). Deve avere l’ardimento dell’avventura, sapersi spingere al limite del suo respiro (il regista F. F. Coppola, col suo film sul Vietnam, che, assieme a 5 Oscar, gli costò 30 chili in meno per le indicibili peripezie affrontate, ben dimostrò che talvolta quanto più si sa rischiare, tanto più si vince). Infine, la marca deve entrare nella leggenda (la scena di Gene Kelly con l’ombrello in Singing in the rain, è ormai da antologia. Merito del regista Stanley Donen, che seppe trasformare un oggetto quotidiano come un parapioggia in una sorta di bacchetta magica).
Illustrando più sopra la seconda fase del metodo messo a punto da Séguéla per creare una star, abbiamo accennato al “ritratto cinese”. Legittimo chiedersi cosa sia”¦ Per delinearlo, si tratta di rispondere a tre domande fondamentali:
– qual è il vostro prodotto? (dal punto di vista tecnico e strategico);
– chi è il vostro prodotto? (dal punto di vista psicologico e psicanalitico);
– a chi piacerà? (dal punto di vista statistico e sociologico).
Una volta Roger Vadim ebbe a dire: “Ci sono regole per recitar bene la propria parte. Ma ci sono regole per essere Brigitte Bardot?”. Séguéla risponderebbe di sì. La star, infatti, deve possedere: fisico, carattere e stile.
Quanto al fisico – sostiene il pubblicitario francese – deve essere “esigente, onesto, realista”, Chi non ricorda Brooke Shields quando proferì: “Sapete cosa c’è tra me e i miei jeans? Nulla”. Il carattere, d’altra parte, deve essere “elementare, archetipo, sincero”. Un buon esempio ce lo offre il già citato Kirk Douglas quando provocò: “Avete mai visto un cowboy fare la dichiarazione delle tasse?”. Lo stile, infine, deve essere “fastoso, sensazionale, armonico, oltranzista”. Difficile spiegare meglio il concetto di quanto fece Jean Cocteau: “Marlene Dietrich comincia con una carezza e finisce con un colpo di scudiscio. Già questo è tutto un film”.
E allora, siamo pronti anche noi a trasformare le nostre marche in star?