Sfilate di Moda: benvenuti al mercato dei sogni
Febbraio/Marzo sfilano le collezioni autunno/inverno, a Settembre/Ottobre quelle primavera/estate. A prescindere dall’effetto di straniamento che ciò sovente genera nei consumatori, è forse il caso chiedersi cosa siano oggi le passerelle di moda… se non dei grandi show dove business e immagine, teatro e mondanità, affari e concettualismo, si fondono e confondono inscindibilmente… e misteriosamente.
Nate a Parigi già nell’800, le sfilate di moda sono state concepite come occasioni per presentare le novità sartoriali e attirare l’attenzione sulle nuove tendenze. Fino agli anni ’60 del secolo scorso venivano organizzate per lo più in boutique, poi passarono in spazi distinti, trasformati in set elaborati con elementi aggiuntivi come musica, componenti tecnologiche, installazioni artistiche, curati nei dettagli in modo parossistico. Obiettivo: comunicare al pubblico la peculiare idea di moda di uno stilista, lasciando che siano gli spettatori stessi ad interpretarla.
Sulla fenomenologia delle sfilate ha effettuato un’interessante analisi la sempre acuta Erica Corbellini, docente della Scuola di Direzione Aziendale dell’Università Bocconi, chiedendosi chi indosserà gli abiti che sfilano in passerella. Talvolta la risposta è nessuno. “Certo, alcuni sono outfit da favola, meravigliosi abiti da sera che rimandano a un mondo principesco, o, semplicemente, eleganti look quotidiani da cui trarre ispirazione per le nostre giornate al lavoro. Nel migliore dei casi sono degli affreschi viventi, creazioni artistiche di cui ammirare la fantasia e la creatività. Capita, tuttavia, di vedere abiti che superano i confini dell’eccentricità per trasformarsi in parodia trash, o capi dalla vestibilità impossibile o look che semplicemente non donano. E se stanno male ad una modella, figuriamoci a noi donne comuni mortali” osserva Corbellini.
La missione delle sfilate insomma è solo quella di “far sognare” e creare l’effetto notizia. Alla sfilata segue poi una campagna vendite: è qui che i compratori vedono in showroom un’offerta molto più ampia rispetto a quella adocchiata in passerella. Solo gli articoli del campionario che raggiungeranno un certo numero di ordini saranno messi in produzione, gli altri verranno accantonati. In sostanza, i buyer sono ben consapevoli che dovranno vendere ciò che acquistano e pertanto optano per capi indossabili, con un ragionevole rapporto qualità/prezzo, rappresentativi dello stile iconico del marchio che spesso sembra “fare a pugni” con alcune bizzarrie sul defilé destinate a rimanere meri prototipi. C’è da annotare, inoltre, che spesso le aziende tendono ad anticipare le vendite con le cosiddette pre-collezioni (ciò per esigenze di consegna), cosicché la sfilata ormai rappresenta per molte maison solo una “fiera delle vanità” ovvero una vetrina per l’immagine.
In definitiva, quando si svolgono le fashion week i giochi sono già fatti. La vera missione della sfilata è dunque comunicare attirando l’attenzione sul marchio ogni sei mesi, approfittando dell’enorme visibilità mediatica di cui tale kermesse gode. “Ci sono anche marchi con una connotazione d’avanguardia che si rivolgono a una nicchia di consumatori trend setter, sempre alla ricerca di novità eccentriche – nota Corbellini – ma la maggioranza delle case di moda realizza la gran parte del fatturato con vestiti cosiddetti commerciali perché più facili e continuativi. Il look della sfilata serve a dare agli addetti ai lavori il punto di vista del designer sull’evoluzione dello stile ma poi, spesso, anche la parte di novità viene alleggerita nel passaggio dalla passerella alla vendita, stemperando gli eccessi in un dettaglio, dicendo quindi la stessa cosa a bassa voce invece che gridando”.
Comunque, la trasformazione in strumento d’immagine sollecita alcune riflessioni: se la sfilata non serve più per vendere, ai fini della comunicazione è ancora corretta la tempistica sfasata di una stagione rispetto a quando i capi saranno acquistabili in negozio? Ai fini delle vendite non sarebbe più efficace se fosse possibile acquistare subito gli abiti che sfilano?
In effetti, alcune griffe di moda stanno compiendo un esperimento in questo senso: l’apripista è stato Burberry che da qualche tempo rende disponibili, sul suo sito internet e in una serie di negozi monomarca selezionati, i capi in passerella per l’acquisto con consegna in otto settimane. Qualcosa di simile ha fatto Moschino con la collezione autunno/inverno 2014/2015: l’ispirazione fast food della sfilata di Jeremy Scott non è stata solo una trovata da passerella; alla conclusione dello show è stata diffusa la notizia che la capsule collection “Fast Fashion – Next Day After The Runway”, composta da 10 pezzi, era già in vendita per un acquisto “veloce” sul sito del marchio e in alcuni punti vendita. Idem per la collezione Moschino primavera/estate 2015, i cui 28 capi ispirati alle Barbie sono stati messi in vendita in tempo reale. In fin dei conti, visto che il sistema non troverà mai un accordo sul posticipo delle sfilate, sono le aziende ad anticipare le vendite!
Da qui alla trasformazione dei defilé in mega-show rivolti al pubblico di massa il passo può essere breve. Conclude Corbellini: “A New York l’hanno capito già in molti: dai luxury hotel ai siti di servizi VIP o di aste benefiche come charitybuzz.com, fino alla carta di credito American Express, esistono molteplici possibilità per comprare un biglietto conquistando l’agognato ingresso allo show”.
Tuttavia bisogna riconoscere che, se le sfilate devono essere venditori di sogni, “il sogno è tale quando resta irrealizzabile, altrimenti si chiama realtà. La festa più bella è (quasi) sempre quella a cui non siamo stati ancora invitati”.