Siamo uomini o manichini?
Ci pensiamo raramente o forse mai… Ma proviamo a considerare cosa sarebbe la moda senza manichini che facciano ben figurare abiti e accessori. Sotto il vestito niente… commenterebbe qualcuno. Misteriosi, metafisici, snelli ed essenziali, quei figurini neutri ed impersonali raccontano molto in realtà dell’estetica moderna (soprattutto femminile) e della sua evoluzione. Vogliamo quindi dedicare qualche considerazione anche a loro, così “umili”, ma così indispensabili e sempre più versatili, come ha pure dimostrato una curiosa mostra svoltasi l’estate corsa a Roma (“Manneken – Manichini artistici e di moda: creatività artigiana”, col patrocinio di AltaRoma).
Non crediamo che esista un solo tipo di manichino: eh no, c’è quello da sartoria (senza né testa né arti) per provare gli abiti mentre si confezionano, quello da vetrina (che riproduce la figura umana intera) per esporre capi di abbigliamento, quello artistico (con corpo e viso astratto, in genere caratterizzato da posture particolari) per esigenze speciali ad alta valenza estetica e professionale: chiamato anche manichino snodato, è un modello in scala del corpo umano realizzato in legno con giunture che ne permettono il posizionamento in certe pose compatibili con la anatomia umana; viene utilizzato essenzialmente da pittori e scultori per produrre copie di figure in cui la posizione del corpo e degli arti risulti naturale.
Ovviamente i manichini possono essere di varia taglia e vi sono pure modelli regolabili tramite congegni nascosti, di grande flessibilità operativa, che consentono di modificare le proporzioni. Cartapesta, legno, plastica, tessuto sono le materie prime con cui più frequentemente vengono costruiti. Ad interessare maggiormente i modaioli è certamente il manichino da vetrina, fabbricato con parti smontabili (per poter essere vestito) e ruotabili (per poter assumere pose diverse). Ne esistono in sostanza due tipi: quelli realistici, prodotti con lineamenti, colori e dettagli che imitano le persone, e quelli stilizzati, dove i colori e i tratti del viso non rispettano il dato oggettivo attingendo alla fantasia.
La derivazione del vocabolo manichino è olandese, da manneken che significa “piccolo uomo”. I primi fantocci di cui si abbia notizia risalgono a fine XVIII secolo, allorché tuttavia avevano dimensioni molto ridotte. Si trattava, infatti, di piccole bambole, alte circa cinquanta centimetri, sulle quali le grandi sarte francesi confezionavano copie in formato ridotto delle loro creazioni. Tali modellini venivano poi spediti da Parigi a tutte le corti europee, oltre che presso le più ricche famiglie al di là dell’oceano, in modo che le signore potessero scegliere i loro vestiti all’ultima moda. A Venezia queste bambole venivano folcloristicamente chiamate “piavole de Franza”. Col tempo le dimensioni aumentarono, fino ad arrivare a quelle attuali. Il nome usato a Venezia in realtà nacque a Mantova nel ’500 alla corte dei Gonzaga allorché Isabella d’Este creò delle bambole vestite con gli abiti di corte da inviare a Parigi a Francesco I.
Il futuro del manichino? Da vuoto bellimbusto ad agente di sicurezza: in effetti il modello si è evoluto, giungendo niente meno che ad identificare i ladri nelle boutique di moda, oltre ai clienti.
Nome in codice: “EyeSee”. Basato su una tecnologia tutta italiana che si sta diffondendo nei grandi store dell’intero pianeta. Esternamente sembra un normale fantoccio da vetrina, con un’affusolata silhouette di polistirene, il bel volto inespressivo e la classica posa improbabile. All’interno, dietro agli occhi, è celata una fotocamera che registra, grazie a un software di riconoscimento facciale, età, genere e razza dei passanti, inviando poi i dati ad un software analogo a quelli utilizzati dalla polizia o all’aeroporto per individuare i criminali. Costo del manichino “truccato”: non meno di 4 mila euro. La tecnologia che lo rende bionico venne lanciata nel 2010, dopo essere stata sviluppata dalla comense Almax Spa insieme a Kee Square, spinoff del Politecnico di Milano. Problemi di privacy? Pare di no, dato che le immagini registrate non vengono immagazzinate, ma solo analizzate. Le legislazioni europea e americana consentono l’uso di telecamere a scopi di sicurezza, ma i clienti devono sapere che potrebbero essere filmati. E comunque riprenderli solo a scopo commerciale può significare raccogliere dati senza il consenso. Cautela dunque. Almax ora sta testando una tecnologia per dare orecchie, oltre che occhi, ai propri manichini: presto quindi essi potranno registrare i commenti dei clienti sul loro look. Inoltre, l’azienda lombarda pensa di aggiungere schermi su cui proiettare, al passaggio del cliente, immagini di prodotti che potrebbero interessare loro, una sorta di trasposizione dei cookies dal sito web alla vita reale.
Ci sono poi manichini-robot che danno una mano a pigri, frettolosi e pignoli. Infatti, per chi fa acquisti online la parte più difficile è immaginare come il vestito figurerà una volta indossato. Ecco allora un figurino che potrebbe risolvere il problema, contenendo al suo interno un marchingegno che allarga o restringe le forme sino alla taglia dell’acquirente, che può così vedere l’effetto degli abiti sul proprio corpo. Ma il manichino robot potrebbe anche venire incontro ai clienti più indolenti e a quelli sempre di corsa, che odiano perdere tempo a provare i vestiti prima di acquistarli. L’invenzione, messa a punto in Estonia dalla Tartu University e dalla Tallinn Technical University, è stata già adottata con successo a Londra.
Leader nella produzione di manichini è da sempre l’azienda italiana Soldati di Rimini, che già all’inizio degli anni ’60 proponeva in Romagna gli antesignani degli attuali display come busti e affini, nonché i primi manichini propriamente detti realizzati con testa in gesso e occhi in vetro. In occasione del cinquantennale dell’attività Soldati ha aperto al pubblico un centro espositivo ad hoc per offrire l’opportunità di visionare tutta la sua storica prototipia vetrinistica.
Manichini sono le “muse inquietanti” di De Chirico, ombre di noi stessi, il nostro parallelo nello spazio e nel tempo, nel silenzio oracolare di quel grande teatro che è la vita.