Squilli di guerra nel fashion retail
Sta per cominciare una guerra di tutti contro tutti nel settore del retail di moda a livello globale. E’ quanto prevedono gli analisti che monitorano costantemente le dinamiche di business dei colossi europei, americani e giapponesi. Lo sferragliare delle armi, in verità, si è già fatto sentire qua e là riecheggiando le mosse dei contendenti in campo, i quali sempre più si trovano a dover coordinare catene di fornitura complesse e troppo sparse, gestire migliaia di negozi nei cinque continenti, seguire i comportamenti pressoché quotidiani dei consumatori. In grandi città come Londra, New York, Shanghai i negozi di Zara, H&M, Gap e Uniqlo già da tempo si urtano gomito a gomito, ma non fanno testo in merito a ciò che potrebbe accadere a breve.
Una chiara avvisaglia di quanto si profila all’orizzonte e della posta in gioco è offerta dai deludenti risultati registrati di recente da un gigante come Inditex, che nel Marzo 2014 ha subito la prima battuta d’arresto in un crescita che sembrava senza fine. Il noto fashion retailer spagnolo, infatti, ha messo a segno utili operativi per 3,1 miliardi di euro che, pur essendo superiori a quelli dei principali rivali, ovvero H&M, Gap e Fast Retailing, non sono andati oltre il dato dell’anno precedente… ed è la prima volta che ciò accade! Un tale rallentamento non è un episodio a sé, ma ha come epifenomeno una minore espansione commerciale, vale a dire una frenata nell’apertura di nuovi negozi (Inditex ne ha aggiunti solo 331, mai così pochi dal 2003), che ha riguardato soprattutto la Cina (solo 61 negozi in più, mentre nel 2012 erano stati il doppio).
A queste circostanze contribuisce senza dubbio l’incipiente saturazione del mercato planetario, che è diviso in nette sfere di influenza. Le vendite europee di Inditex rappresentano 2/3 del suo fatturato; negli Usa il gruppo iberico possiede meno negozi che in Ucraina; in Asia vende meno che in Spagna. Uniqlo Japan, d’altro canto, genera il 60% del fatturato rispetto a Fast Retailing. H&M realizza in Nord Europa e Germania il 45% del suo turnover, mentre in Cina fattura quanto in Olanda. Gap è focalizzato sul Nord America, che ospita i 4/5 dei suoi negozi.
Questa distribuzione geografica riflette da un lato la storia di ciascuna aziende, dall’altro deriva da una sorta di tacita e rispettosa spartizione dei territori in chiave collusiva finalizzata alla difesa dei prezzi. Al presente però le opportunità di ulteriore progresso sono limitate ai Paesi emergenti, in primis la Cina, oppure vanno verso un’aggressione diretta ai concorrenti. E’ quanto starebbe per verificarsi, con quali pesanti conseguenze non è dato sapere. Basti considerare che H&M, stando a quello che ha comunicato, vuole incrementare le vendite americane da 1,5 a 4 miliardi di dollari entro il 2020. Fast Retailing, invece, negli ultimi mesi ha aperto uno dopo l’altro nuovi negozi lungo le due coste oceaniche del continente e si propone di inaugurarne altri 100 nel giro di due anni, mirando a realizzare nel 2020 almeno 10 miliardi di dollari negli Stati Uniti, pari alle vendite attuali in tutto il mondo. Una simile strategia non potrà che scatenare una reazione altrettanto forte da parte di Gap. Intanto Fast Retailing sta pure testando il mercato tedesco, dove ha aperto un primo negozio.
Ci sono poi gli attori più piccoli quali Abercrombie & Fitch e la “nostra” Benetton, che cercano di rilanciarsi dai rispettivi trampolini di lancio radicati in un passato glorioso. Competitor emergenti propongono inoltre stili nuovi, come i colori chiassosi di Desigual o la moda per teenager di Forever 21. Altri ancora, come Mango, abbassano i prezzi, senza tema di sfidare direttamente a duello Inditex.
Ne vedremo delle belle, dunque, nel business del retail e nelle sue supply chain sempre più articolate e disperse. Reggetevi forte!