Sulle ali del lusso
La risposta all’esigenza di un nuovo mito segreto ed esclusivo sono le “illusioni necessarie” e il lusso è questo. Anche nella moda. “Il lusso consiste in cose, oggetti, beni di cui spesso diciamo che faremmo volentieri a meno. E anzi le butteremmo via di tutto cuore, se non temessimo che qualcun altro le raccoglierebbe subito”. È il perfido Oscar Wilde, con la sua usuale acutezza, a pronunciare queste parole. E se il nostro Alberto Arbasino sostiene che il lusso va bene solo se è sfrenato, Francis Lloyd Wright afferma: “Datemi tutti i lussi della vita e io rinuncerò volontariamente a tutte le necessità”. Invece, il moralista Epicuro predicava che il lusso vero non consiste nell’aggiungere qualcosa a quello che si ha, ma nel togliere qualcosa a quello che si desidera.
La parola in questione è proprio lusso, declinabile in una varietà di accezioni, da comfort a rarità, da sfarzo a superfluo, da eccesso a bellezza, da qualità a costosità.
Il vocabolo non è legato, come vorrebbe qualcuno, a lux, luce, nel senso di splendore, scintillio, bensì al più prosaico verbo luxare, ovvero slogare, ed ha la stessa origine di luxuria, la sensualità smodata. Pare quasi che questa debba essere il necessario complemento del lusso medesimo. Fu con il sommo maestro di falegnameria Michael Thonet – austro-ungarico, che lanciò i mobili per la classe media (celebri i suoi esperimenti sulla curvatura del legno di faggio per realizzare sedie e tavoli!), e poi col trionfo dello stile liberty – che il lussò cessò di essere una questione di prezzo, per diventare un fatto di buon gusto, spostando il focus dal prodotto in sé alla sensibilità culturale di chi lo acquista. E’ dunque il cliente ad attribuire un senso e, quindi, un valore di preziosità ad un oggetto, attribuendogli un ruolo importante nella sua vita.
Il nuovo lusso, in effetti, è sempre più giocato su due poli: da un lato, la rarità intellettuale dell’acquirente, dall’altro l’eccellenza intrinseca del prodotto, creato con materie e processi di lavorazione raffinati ed esclusivi. Questi due elementi interagiscono fra loro in modo sottile, su un filo cerebrale, trovando la loro sintesi ideale in quel concetto antico come l’uomo che è la saggezza. Oggi, però, la crisi economica globale ha penalizzato sensibilmente i conti del settore e per i big player la redditività si è decurtata in modo notevole. Cogliere la ripresa non sembra facile per nessuno ed i massicci investimenti realizzati negli anni scorsi per dotare i brand di negozi monomarca in giro per il mondo potrebbero assestare il colpo di grazia a chi non è in grado di affrontare la competizione con i mezzi adeguati.
Almeno si deve ripartire dai pochi concetti acquisiti: il lusso è pure una questione legata alla percezione che si ha di un determinato prodotto nonché alla cultura necessaria per poterne apprezzare le caratteristiche; ragion per cui questa percezione va gestita con idonee strategie di marketing, basate sui valori forti e profondi dell’azienda, senza dimenticare che il lusso, comunque, conquista sempre e soprattutto per il fascino di possedere oggetti unici ed originali.
Trovandoci ora di fronte ad un paradigma stratificato e differenziato di lusso, connesso alla categoria mentale della ricerca del piacere personale, dobbiamo riflettere sul fatto che molti marchi in passato sono cresciuti con audacia attraverso una sorta di de-istituzionalizzazione del lusso medesimo, “democratizzato” e allargato a clienti aspirazionali tramite linee più economiche e accessori abbordabili. Ciò ha portato alcuni gruppi a trascurare i clienti storici, già ben fidelizzati, con la perdita di originalità nel posizionamento. Adesso le difficoltà impongono alle imprese di crescere in modo più disciplinato e di adottare politiche di consolidamento e valorizzazione del portafoglio clienti. In particolare, nel vero lusso l’orientamento al singolo cliente è diventato un must imprescindibile e così sono destinati a lievitare gli investimenti in customer intelligence al livello del dettaglio, per comprendere le aspettative della clientela specifica.
Parallelamente all’apertura ai clienti aspirazionali, si corrobora l’offerta ai clienti storici attraverso il servizio, il quale deve recuperare un’idea di lusso antico, lontano dall’ossessione del cambiamento stagionale e legato ad un rituale valoriale che riproponga i codici dell’artigianalità e dell’esclusività. Ben vengano, quindi, le edizioni limitate. Lusso, per concludere, può essere definito il piacere di scegliere, difendendosi dalle minacce estetiche e dalla “criminalità culturale” che anche nella moda ha legittimato tutto il peggio. Pur consapevoli che parlare di gusto rischia di trascendere nel moralismo, riconosciamo che è proprio questo a far la differenza: il gusto come saggezza, che nelle sue estensioni retoriche arriva ad indicare il sapore, l’odore, lo stato d’animo, il desiderio; in una parola: il sapere come facoltà di discernimento, sentimento del bello e attitudine a percepirlo.