Tante scarpe e solo due piedi!
“La follia della donna. Quel bisogno di scarpe, che non vuole sentire ragioni. Cosa sono i milioni, quando in cambio ti danno le scarpe?”. Così cantavano Elio e le Storie Tese. Invece in “Sex & The City” la protagonista Carrie Bradshow si lanciava in una scherzosa considerazione: “Ho speso 40mila dollari in scarpe e non ho un posto dove vivere? Da vecchia vivrò nelle mie scarpe”. Ebbene sì, le calzature sono una delle grandi passioni delle donne che – a prescindere dalle molteplici interpretazioni che la psicologia ne ha dato – vi intravedono forse un simbolo stesso della femminilità.
Ma le scarpe, soprattutto per noi, sono anche qualcos’altro, ovvero una delle massime eccellenze artigianali e industriali dell’Italia – sinonimo di qualità (dei materiali e delle lavorazioni), originalità, creatività, raffinatezza – un vanto estetico e culturale per il nostro Paese, a cui conferiscono prestigio, e un traino economico di assoluto rilievo. Ma come e quanto è tutelato questo settore così centrale per il sistema manifatturiero? Perché, malgrado gli sforzi, non è ancora stata introdotta a livello comunitario una normativa che introduca l’etichettatura di origine obbligatoria (made in)? Come viene garantito ai consumatori il diritto di conoscere ciò che acquistano? Per richiamare l’attenzione su tali aspetti, Assocalzaturifici in collaborazione con l’associazione culturale “Colosseum” ha organizzato e promosso la mostra “Italian Shoes, European Footprint”, inaugurata il 30 Maggio a Bruxelles presso una sede di indubbia autorevolezza come il Parlamento Europeo.
La rassegna che farebbe la gioia di tutte le donne del pianeta – basta ricordare che vi hanno dato il loro contributo Alberto Gozzi, Aldo Bruè, Baldinini, Bruno Magli, Casadei, Gianna Meliani, Giuseppe Zanotti, Le Babe, Loriblu, Luciano Barachini, Paciotti, Pollini, Tesorone, Museo della Calzatura di Villa Foscarini Rossi, Pompei 2000 srl – è stata resa possibile dall’interessamento dell’europarlamentare Simona Bonafè ed è stata curata da Luciano Calosso ed Enrica Barbano, che attraverso un excursus storico hanno cercato di raccontare la genesi di un accessorio frutto del design italiano, nato dall’avvicendarsi delle mode e dalla contaminazione creativa tra passato e futuro nel mondo del calzaturiero.
Si tratta di una formidabile carrellata di storia del costume nel corso dei secoli che mostra come le scarpe, inventate già nella preistoria per esigenze pratiche, col tempo hanno iniziato ad assumere una funzione sociale di moda; comunque fu solo nel ‘600 che iniziò a delinearsi una maggiore consapevolezza stilistica. Si passa così dal primo sandalo dell’uomo e della donna delle caverne, realizzato intrecciando foglie, fibre vegetali o pelli di animali non conciate e legate con lacci incrociati, alle calzature a becco d’anatra del 1400, fino al primo prototipo del tacco a spillo disegnato in Italia nel 1952, per arrivare agli anni Novanta e Duemila, in cui la tecnologia si è messa al servizio della creatività e gli stili dei decenni passati sono stati rivisitati in chiave di revival.
Schematicamente, l’esposizione “Italian Shoes, European Footprint” si articola in tre sezioni, ognuna delle quali riflette lo spirito del proprio tempo, l’identità culturale e i momenti salienti dell’evoluzione dello stile della scarpa. La parte intitolata “Impronte – Dall’antichità al XX secolo” è un’esplorazione della genealogia delle forme precursori delle principali calzature femminili, in particolare quelle relative al XX secolo, con focus sul tacco; “Stili” ripercorre l’artigianato e l’alta moda di inizio millennio; “Percorsi creativi” illustra la sperimentazione di nuove forme nel XXI secolo, caratterizzate da un design audace e dall’impiego di materiali innovativi, destando viva curiosità su come saranno le calzature di domani.
Quello della necessità di una norma che tuteli l’eccellenza della manifattura è un tema che Assocalzaturifici sta portando avanti senza posa in tutte le sedi europee, anche mediante il varo di un tavolo di lavoro confindustriale per un’efficace azione di lobbying in ambito UE. “Il ‘Made in’ deve essere una priorità per l’Italia in Europa – ha affermato Annarita Pilotti, Presidente di Assocalzaturifici – Sono 10 anni che se ne parla, ma finora le trattative hanno sempre portato ad esiti insoddisfacenti. È possibile che il Parlamento Europeo si esprima a stragrande maggioranza a favore dell’etichettatura obbligatoria e il Consiglio Europeo possa invece negare a questa maggioranza il diritto ad una legge giusta ed equa? Sono anni in cui si cerca, senza alcun risultato, di garantire una norma di civiltà, che possa informare il consumatore finale circa la provenienza geografica del prodotto. Mi chiedo: ma a chi fa paura questo ‘Made in’? Ora con l’uscita dell’Inghilterra dalla UE, storica oppositrice, ci chiediamo se ci siano le condizioni per avere la maggioranza e far passare la proposta contenuta nell’art. 7 del pacchetto sulla sicurezza dei prodotti oppure con una norma dedicata”.
In attesa allora di questa sospirata norma, concludiamo con l’ironia di Luciana Littizzetto: “Ma quali rose rosse, ma quali bouquet di mammole?! Date retta a me: mazzi di scarpe. Questo è il desiderio inconfessabile di ogni femmina”.