Tris d’assi: ARTE-MODA-GIOIELLI
Nell’abbigliamento – diciamo pure nell’arredamento del corpo – il gioiello è l’unica cosa che abbia solo una funzione simbolica, perché qualsiasi vestito o qualsiasi calzatura, anche le scarpe dello stilista più famoso, devono comunque rispondere a certe funzioni specifiche che sono quelle di coprire, di riparare…”.
Così dichiarava il compianto pittore e romanziere Emilio Tadini al Forum del Gioiello del 1998, lamentando il fatto che oggi l’industria non di rado trascura il talento artistico e sperimentatore delle sue risorse umane. Intuiva così da outsider, con la sua acuta sensibilità, come la vera chiave di svolta per il gioiello ora sia quella di sposare moda e arte. Se matrimonio, però, è una parola troppo impegnativa, optiamo pure per una regolare “unione di fatto”, benché meno politically correct.
Solo recuperando la sua originaria dimensione simbolica ed emotiva, il gioiello potrebbe liberarsi di tanti potenziali competitor (dai viaggi alle beauty-farm, dai dispositivi hi-tech ai mille altri modi in cui investire il tempo libero), fino a restare paradossalmente con un unico pacifico rivale: il tatuaggio.
Intendo dire è che si è rivelato premiante per molte aziende compiere scelte strategiche in tale direzione, in primis quella di adottare una propria politica di marca. Costruire una marca significa liberare la creatività, ma significa soprattutto creare una “tendenza”, ovvero saper “ascoltare” il mercato, coglierne gli stimoli socio-culturali ed offrirgli ciò che esso non si era ancora accorto di desiderare. Non agisce così, del resto, la moda? Non seguono questa via gli stili artistici?
Dagli orafi, invece, il mondo della moda viene spesso percepito come il “nemico” che, con le mire di diversificazione di forti gruppi, cerca aggressivamente di invadere il campo della gioielleria a suon di super-brand, cosicché agli orafi talvolta non resta che cedere le loro imprese o porsi al servizio altrui come contoterzisti, nonché come “alleati” di serie B.
Ma la situazione può guardarsi anche da un altro angolo prospettico, più suggestivo.
Così affermava nel 2002 Francesco Minoli, Amministratore Delegato di Pomellato, in occasione di un altro Forum del Gioiello: “Se si vuole essere marca bisogna essere disponibili ad accettare il rischio imprenditoriale di saper leggere le tendenze, interpretarle e saper restituire al mercato un’emozione. Questo rischio è molto elevato in un mondo conservatore come il nostro, bene abituato poiché ha sempre trattato con un materiale che di per sé dava nobiltà alla produzione. Questo è esattamente quello che la moda ha fatto rispetto al mondo tessile e dell’abbigliamento negli anni ’90, quindi siamo esattamente nella stessa situazione”.
Ma siamo veramente nella stessa situazione? Per certi aspetti direi di sì.
La moda, anzi il sistema-moda, ha il suo focus sul prodotto e sulla creatività proprio come il settore orafo. Ciò induce a pensare che entrambi questi mondi siano necessariamente chiamati a sviluppare sinergie al loro interno tra sperimentazione, organizzazione, sensibilità imprenditoriale. Per meglio integrare queste competenze, il business orafo può trovare nella moda un ottimo paradigma, in particolare con riferimento ai processi di gestione delle collezioni, alla comunicazione ed al marketing, alla distribuzione, alla managerialità, alla “brand care”.
I tentativi di recenti rassegne, come la milanese “More”, si sono inscritti proprio in questo territorio, con l’obiettivo di promuovere il gioiello quale espressione di uno stile di vita, accessorio, complemento, da indossare ed esibire come oggetto di moda.
In effetti, tra gli operatori è animata da tempo la discussione sull’evoluzione del gioiello verso l’idea di un articolo suscettibile ai trend in fatto di forme, colori e stili. Molti, però, ritengono che questa sarebbe un’involuzione, se non un’autentica “diavoleria”. Ed allora si rende indispensabile un distinguo fra gioielli economicamente e stilisticamente superiori – simbolicamente “eterni” – che ben possono o addirittura devono esulare dal discorso moda, e quelli che, in virtù delle loro caratteristiche, possono affrontare contesti più dinamici e legati alle tendenze.
Comunque, resta il fatto che un’azienda orafa, come e forse più di altre aziende fashion, per poter consolidare il proprio marchio deve sempre rendere i prodotti ben identificabili, costantemente coerenti alle scelte stilistiche e manifatturiere di fondo, qualunque sia la fascia di prezzo alla quale appartengono.
Ma allora su quale terreno moda e gioielli possono più agevolmente incontrarsi?
Paola Varacca Capello, che è docente del gruppo Sistema Moda della SDA Bocconi, ha risposto così: “La collaborazione potrebbe essere rafforzata sul piano della ricerca e del confronto tra questi due mondi, prevedendo scambi di opinione e occasioni di studio. Per esempio promuovere ricerche sul consumatore, sempre più “inafferrabile”, difficile da interpretare, “unico” nelle sue scelte, potrebbe rappresentare una strada da percorrere insieme” (cfr. “Il mondo orafo fra tradizione e innovazione”, Etas Libri, Milano).
In sostanza, il gioiello, sebbene non sia costretto ad assecondare la moda, è nondimeno tenuto (se non altro perché ne avrebbe solo vantaggi) a “prevedere”, a sforzarsi di intuire quali saranno i trend del futuro rispetto alle tipologie di consumatori che rientrano nei suoi target.
Chi dice, infine, che non possa il gioiello stesso, una volta tanto, promuovere e dettare una propria moda?
E l’arte, l’abbiamo messa da parte?
Cito ancora Tadini, con le sue suggestive parole: “Nell’oscuro di noi stessi, in qualche modo noi attribuiamo all’oro la possibilità di porsi come un valore non sottoposto alla corruzione. Questo ha fatto sì che in tutte le epoche l’oreficeria abbia seguito strettamente gli stili dell’arte. Tra l’arte figurativa, l’architettura, la scrittura e la gioielleria, c’è un parallelo fortissimo. Se posso permettermi di fare una piccola osservazione, direi che mentre in tutte le altre epoche questo nesso tra la gioielleria e le sperimentazioni più libere delle arti figurative e della scrittura è stato immediato, oggi l’industria dell’oreficeria dimentica forse troppo la presenza di stilisti straordinari, di artisti che lavorano sulla sperimentazione del gioiello, che studiano ed elaborano forme veramente straordinarie”.