Un grande orafo:anche questo fu Leonardo da Vinci
Orafo. Non avevamo bisogno di venire a conoscenza di questa ennesima professione esercitata da Leonardo da Vinci per affermare che egli fu un genio eclettico di ineguagliabile levatura. Ma tant’è; ora abbiamo appreso anche questo.
Oltre a pittore, scultore, architetto, ingegnere, musicista, medico e chissà cos’altro, il grande scienziato quattrocentesco fu anche disegnatore di gioielli e – udite, udite – inventore di “ricette” per fabbricare gemme sintetiche. A provarlo sono gli schizzi ed i manoscritti del Maestro, che Paola Venturelli (studiosa di gioielleria rinascimentale) ha esaminato in profondità, spiegando poi in un libro il curioso rapporto fra Leonardo ed i preziosi (cfr. “Leonardo da Vinci e le arti preziose. Milano tra XV e XVI secolo”, Marsilio Editore).
Il giovane Leonardo giunse a Milano nel 1482, già poliedrico e colto, e vi trovò un ambiente stimolante, ricco e mondano, attratto dai lussi e dai decori. Com’è facilmente comprensibile, la passione per i gioielli faceva un tutt’uno con questa inclinazione dei gaudenti signori milanesi, tanto che il poeta Bartolomeo Taccone scriveva: “Non andare a Melan senza denari, d’oro, d’ariento, seta, lana e smalti, più che Melan par nessun se exalti”.
Il versatile Leonardo si adattò al clima ambrosiano in tutti i sensi e fu così che iniziò a progettare cammei, pendenti, braccialetti, diademi, perfino accessori (come le borsette per dama), e poi fabbricò attrezzi per orefici, sperimentò macchine per tagliare e lucidare le gemme, per coniare le monete della Zecca, per lavorare l’avorio ed i metalli.
Tra i suoi appunti la studiosa Paola Venturelli ha rinvenuto una miriade di annotazioni relative a gioielli, a cominciare dai famosi “nodi” vinciani, che sembrano creati per dar vita a viluppi metallici da adattare ai braccialetti. Leonardo riuscì a trasformare in gioielli gli oggetti più prosaici, ad esempio impugnature di spade, bordure di vestiti, fibbie, cinture, tessuti.
Ebbe anche fama di “perito” di gemme, e spesso alla corte di Ludovico il Moro gli si chiedeva un parere in vista di acquisti preziosi, come faceva, ad esempio, Isabella d’Este.
Dicevamo che l’esuberanza intellettuale del Maestro travalicò il mero ambito della progettazione per sconfinare nella ricerca pura ed applicata, finalizzata ad approntare miscugli da cui ottenere pietre sintetiche. Sperimentò così la corniola, il calcedonio, il vetro mosaico, vari tipi di smalto e, soprattutto, le perle.
Il celebre Codice Atlantico contiene una ricetta “segreta” da lui messa a punto proprio per realizzare “perle grosse”, rigorosamente false: occorre sciogliere perle vere di piccole dimensioni in succo di limone, essicarle e miscelarle con albume d’uovo, per ricavare una pasta da modellare a piacere. Sembra, tuttavia, che il Maestro non perseguisse il sogno di riprodurre le perle solo per motivi estetici, ma perché credeva fermamente nel loro potere terapeutico e di talismano. Un retaggio medioevale questo, sopravvissuto anche nell’illuminato Rinascimento: è certo, ad esempio, che a Lorenzo il Magnifico ormai agonizzante, fu fatta trangugiare una cospicua pozione di perle tritate!
Non esistono documenti precisi attestanti la realizzazione di gioielli ad opera di Leonardo stesso, che pure disponeva di grande manualità artigianale. Sappiamo, però, che molti operatori del mondo orafi di quel tempo frequentavano assiduamente la sua bottega: Boltraffio possedeva un tornio per modellare le pietre, Marco d’Oggiono era figlio di un orefice, Gian Giacomo Caprotti (detto Salaì) lasciò in eredità un piccolo tesoro di gemme grezze e lavorate. Da non dimenticare, poi, che molti disegni e dipinti di allievi leonardeschi milanesi abbondano di gioielli (si vedano Andrea Solario e Cesare da Sesto in particolare).
Dulcis in fundo, resta la tradizione. Nelle “Memorie” su Leonardo a Milano, Giovanni Ambrogio Mazenta riporta che il Maestro gestiva un’accademia, “un fecondo seminario di perfettissimi artefici… nell’intagliar christalli, gioie, avori, ferro, e nell’arti fusorie d’oro, argento, bronzo”. Il Mazenta ggiunge anche che il noto incisore e gioielliere Annibale Fontana “professava d’aver da le cose di Leonardo appreso quanto sapeva”.
Manca – per ora – il preciso ritrovamento di un monile “griffato” da Leonardo di suo pugno, ma certo è che lui era proprio un genio tutto d’oro!