Un salto a Parigi per Christian e Dalida
Parigi val bene due mostre, soprattutto se i protagonisti di queste rassegne sono in un caso l’affascinante Dalila, icona di moda e musa tragica della canzone francese, e il grande stilista Christian Dior, la cui maison di haute couture compie 70 anni. Un settantesimo che viene celebrato con una retrospettiva intitolata “Christian Dior, couturier du rêve” (“il sarto del sogno”), allestita al Musée des Arts Décoratifs, il più importante museo di moda in Europa.
Inaugurata il 7 Luglio, la mostra del geniale designer resterà aperta sino a 7 Gennaio 2018 consentendo di ammirare, oltre alle creazioni del fondatore, anche gli abiti ideati dai suoi successori fino all’attuale, l’italiana Maria Grazia Chiuri, arrivata l’estate scorsa dopo una serie di prestigiosi nomi maschili che ha incluso Yves Saint Laurent, Gianfranco Ferrè, John Galliano, Raf Simons.
Si tratta di un evento da non perdere perché, modello dopo modello, racconta non solo la storia, ma anche i valori, la personalità, la visione di un Maestro di stile entrato nella leggenda, insieme al mondo concettuale dei suoi degni epigoni che ne hanno proseguito il percorso inserendosi nel suo solco. Vi ritroviamo così la prima rivoluzionaria silhouette di Dior risalente alla fase post-bellica, ispirata ai fiori in una gamma di tinte e colori delicati, per una moda ultra-chic e molto femminile, ma allo stesso tempo “maschilista” nella misura in cui impone capi costrittivi come il busto, il corpetto, le stecche. Del resto, Monsieur Christian ha sempre amato alternare i due poli e giocare sugli opposti, collezione dopo collezione (New Look, Trapèze, Linea ad A), dividendo in questo senso anche i suoi atelier di haute couture – “tailleur” e “flou” – passando continuamente da maschile e femminile, da taglio a costruzione, da rigore a dolcezza. Tra gli abiti-simbolo esposti al Musée des Arts Décoratifs scorgiamo, ad esempio, un abito da cocktail della mitica linea a corolla del 1947, ovvero New Look (“A Bar jacket – to be worn for cocktails”), insieme a romantici abiti da sera in tulle ricoperti di paillettes o al vaporoso vestito da opera in seta rosa: sono le creazioni opulente del suo esordio artistico, caratterizzate da spalline sinuosamente curvate, vita stretta e gonne a campana in tessuto leggero e trasparente, quasi un inno alla joie de vivre dopo l’austerità della guerra.
Non mancano poi i capi sofisticati disegnati da Yves Saint Laurent per Dior, rappresentati da un abito a trapezio della collezione primavera/estate 1958; così come non difetta lo stile architettonico di Gianfranco Ferré, ben interpretato da un vestito lungo georgette rifinito con spalline a colonna; mentre la potente carica creativa di John Galliano trova espressione in un’ampia cappa ricamata ispirata ai Ballets Russes, e la passione per lo street style di Raf Simons è resa da un abito da cocktail in seta con stampa dell’artista Sterling Ruby; invece la grazia di Maria Grazia Chiuri, attuale direttore artistico della griffe, è narrata da un capo con frange e ricami in rafia che è un autentico omaggio all’eterno femminino.
La retrospettiva parigina propone inoltre dipinti, sculture e lettere personali di Dior (fino alla sua scomparsa improvvisa nel 1957) documentandone la vita intensa e appassionata dalla giovinezza dorata ai trionfi da fashion star. Presenti anche tele d’atelier, fotografie di moda, pubblicità, illustrazioni e schizzi, nonché una vasta gamma di accessori, borse, scarpe, cappelli, gioielli e boccette di profumo. Il tutto studiato dai curatori Florence Müller e Olivier Gabet perché dialoghi con lo spirito del Maestro che aleggia nelle sale e nei sette decenni di creatività che la sua maison ha regalato al mondo, con la voglia costante di stupire, di épater le bourgeois, per emancipare, affrancare, celebrare il corpo, a modo proprio. La rassegna “Christian Dior, couturier du rêve” culmina nella navata del museo, dove sono esposti abiti indossati dalla Principessa Grace, da Lady Diana, Charlize Theron e Jennifer Lawrence.
“Il lusso è libertà” soleva dire lo stilista, ma anche “L’autentica eleganza è quella che passa inosservata in metropolitana” e, soprattutto, la storica frase divenuta un aforisma pluricitato: “Dopo le donne i fiori sono la cosa più bella che Dio ha donato al mondo”.
La mostra “Dalida: il suo guardaroba in città e sulle scene” (“Dalida: Une garde-robe de la ville à la scène”) è in corso invece al Palais Galliera fino al 13 Agosto e si propone (riuscendoci) di sorprendere il pubblico con la fantastica collezione di abiti e accessori della bellissima cantante e attrice italo-francese (il cui vero nome era Iolanda Gigliotti), una vera diva d’oltralpe, tragicamente scomparsa – suicida a soli 54 anni – nel 1987 (come alcuni dei suoi fidanzati, tra cui il celebre cantautore Luigi Tenco). Il suo ricco guardaroba (interamente acquistato da lei stessa, in un’epoca in cui il concetto di testimonial era ancora lungi da venire) è stato donato di recente al museo parigino dal fratello Orlando, produttore discografico e cantante egli stesso.
Nella sua carriera ultra-trentennale in cui vendette l’astronomico numero di 170 milioni di dischi, Dalila seppe incantare senza eguali un pubblico quanto mai vasto anagraficamente e culturalmente, conquistandolo con la sua esotica avvenenza (era stata Miss Egitto, il Paese in cui era nata da genitori calabresi), la sua caratteristica voce gutturale dal tono nostalgico e la capacità di esibirsi in oltre dieci lingue.
Adorò la moda e apparve sempre elegantissima in ogni circostanza, anche casual. Ci sembra azzeccata l’idea di questa retrospettiva al Palais Galliera di presentarne gli outfit di scena su dischi dorati del diametro di tre metri. Il curatore della mostra Robert Carsen afferma: “Il suo stile è di così ampio respiro da sembrare molto attuale”, come testimoniano i capi New Look di Pierre Balmain e Jacques Estérel affiancati da boleri di tulle bianco di Nina Ricci, per continuare con un corsetto moresco e un gilet di Saint Laurent Rive Gauche così come una serie di trench neri, oppure i magnifici vestiti bianchi indossati dopo la morte di Tenco.
Nella rassegna non mancano abiti solari ispirati a quel Mediterraneo di cui Dalila si sentiva figlia, un abito rosso senza spalline in stile Hollywood firmato Jean Dessès, luccicanti ma sobrie guaine di Loris Azzaro, vistose tute aderenti coperte di lustrini e stravaganti body del designer Michel Fresnay, look etnici e hippie, nonché creazioni in pelle di Jean-Claude Jitrois, il quale una volta dichiarò che occuparsi di Dalida era “come vestire le stelle del Festival del Cinema di Cannes”.
Venerata dai più grandi stilisti del tempo, la cantante indossava le loro creazioni haute couture e prêt-à-porter sia sul palcoscenico che nella vita quotidiana. Presenti in mostra anche molti dei capi indossati nei film in cui recitò, dove sovente si esibì pure come cantante.
Per concludere, vogliamo riportare una scritta che compare in una sala della mostra, tratta da una sua canzone: “Quand on dit je t’aime, on veut dire aime-moi” (“Quando si dice ti amo, si vuol dire amami”).