Una inclusione storica
Gennaio 1953.
Mostra Internazionale di Alta Moda a Firenze, la Quinta che il Marchese G. B. Giorgini programma a partire dalla storica data del 12 febbraio 1951 quando, presso la sua residenza privata di Villa Torrigiani, organizza la “First Italian High Fashion Show”. La seconda sfilata si tiene nel luglio del 1951 nei saloni del “Grand Hotel” di Firenze; dal 1952, Giorgini predisporrà due stagioni di sfilate all’anno di 5 giorni nella Sala Bianca di Palazzo Pitti, una a gennaio e l’altra a luglio.
Cronaca del 25 gennaio 1953 quarta giornata: il testo -purtroppo non abbiamo reperito la testata per cui è scritto-, è a firma di Flora Antonioni. L’incipit dell’articolo ha una osservazione interessante, cioè che esistono tre modi di vedere una sfilata -concretamente quella a cui è presente l’autrice-, secondo tre prospettive di interessi diversi.
La prospettiva dei compratori: è la più importante? Forse sì. L’obiettivo primo della manifestazione, nella mens dell’organizzatore e delle maison partecipanti, è quello di conquistare i mercati stranieri: riuscire ad “imporre” una moda italiana come espressione di un gusto e di un mondo particolare che affondano le sue radici nel Rinascimento, quando prende vita il “bello ben fatto” a mano della tradizione artigianale e manifatturiera italiana. Storicamente sappiamo che questo obiettivo è stato pienamente raggiunto perché da quelle sfilate inizia la scalata della Moda Italiana sui mercati stranieri, specialmente quello americano a cui già d’allora è capace di presentare un prodotto di moda di elevata qualità a un prezzo competitivo, rispetto a quanto Parigi era in grado di offrire.
Sulla scia di questa prima osservazione risulta interessante la prospettiva degli industriali descritta meglio, a nostro parere, nel tanto citato articolo di Oriana Fallaci sul numero 92 di Epoca del 2 agosto 1952. La Fallaci indica innanzi tutto i produttori di “quegli articoli di boutique, generi di esportazione tanto amati dagli americani”, chiamati da G.B. Giorgini a presentare le loro creazioni fin dalla “First Italian High Fashion Show”: Emilio Pucci, Mirsa, Bertoli e La Tessitrice dell’Isola. Poi rivolge l’attenzione agli industriali tessili che con acume e preveggenza hanno fatto accordi con le case di moda perché gli abiti presentati utilizzassero i tessuti di una determinata ditta. La giornalista chiude le sue osservazioni affermando che finalmente “si è capito che il problema della moda si risolve anzitutto col lancio dei tessuti”. In una cronaca del 30 gennaio del 53, ad altra firma ed altra testata, si ritorna su questa intuizione, sul fatto cioè che “i tessuti così originali, dai disegni e colori completamente nuovi hanno sicuramente ispirato i modellisti” -è ancora presto per parlare di stilisti-, ma ancora più importante è che “hanno dato ai compratori stranieri una chiara visione delle possibilità italiane anche in fatto di tessuti”. Come non individuare, anche se attraverso queste righe acerbe, gli albori di quello che sarà il prêt-à-porter Made in Italy e il successo della filiera della moda italiana?
Cosa dice Flora Antonioni cronista della giornata del 25 gennaio sui creatori? È singolare che la sua analisi metta l’accento non tanto su ciò che si può osservare sulla passerella, ma penetrando nel “piccolo mondo inquieto e inquietante del “box” -equivalente del moderno backstage- che “inalbera il nome della propria casa come un vessillo” e dove si muovono ”ragazze che si chiamano col solo nome di battesimo come le regine”.
E da qui si dipana una nuova prospettiva da cui seguire le giornate di questa Quinta Mostra Internazionale di Alta Moda a Firenze che nessuna cronista italiana o straniera tralascia: ed è la presenza, per la prima volta su una passerella internazionale di Alta Moda, di una mannequin di colore Dolores Francine Rhiney preceduta solo da Dorothea Towles Church che nel 1949 a Parigi era stata ingaggiata una prima volta da Dior e poi sfilerà anche per Elsa Schiapparelli e Pierre Balmain. La presenza di Dolores Francine a Firenze è un fatto che potremmo dire storico, perchè fece da apripista ad altre modelle di colore nel mondo della Moda fino ad oggi, quando su qualsiasi passerella c’è almeno una indossatrice nera. La descrizione che ne danno le nostre croniste forse ci fa sorridere, ma è efficace a trasmetterci l’impressione che ha prodotto la giovane mannequin: di origine haitiana, alta un metro e 72, ventidue anni, nera, nera come il carbone, lucente, movenze da gazzella, viso triste ma espressivo, una statuetta color cioccolata. La passerella per cui sfilava era quella di Vincenzo Ferdinandi che aveva conosciuto Dolores Francine negli Stati Uniti e aveva incontrato in Italia quando lei vi era approdata decisa a rimanervi e fare carriera, dal momento che pare fosse stata rifiutata dalle case di moda statunitensi perché il colore della sua pelle non sarebbe stata di gradimento alle signore dell’aristocrazia americana.
Sappiamo che la scelta del couturier romano non fu ben accolta, anzi fortemente ostacolata da Giorgini che cedette solo di fronte al “ricatto” di Ferdinandi di ritirarsi dalla manifestazione se Dolores Francine non avesse potuto presentare i suoi modelli. I timori di Giorgini di poter offendere le sensibilità europee non abituate a personaggi dalla pelle scura, ma forse anche di toccare un tema sensibile per i compratori statunitensi magari scalfiti da pregiudizi razziali, furono ampiamente smentiti dal successo che l’indossatrice raccolse, anche se non fu fotografata sulla passerella in nessuna delle sue uscite -evidentemente si trattò una indicazione categorica per i fotografi ricevuta dall’alto.
Fu tale l’entusiasmo che suscitò nel pubblico, specialmente tra i compratori -quelli americani stupiti e divertiti-, da far scrivere a qualcuno (forse la stessa Fallaci) che quella di Ferdinandi fu una autentica e fortunata “trovata”. Più che una trovata – lo abbiamo già segnalato nell’articolo a lui dedicato su Imore “Per non dimenticare” – osiamo dire che quella di Ferdinandi fu innanzi tutto una intuizione creativa: i suoi tailleur quasi esclusivamente bianchi o dai colori pastello, si sarebbero giovati enormemente dal contrasto con una carnagione color cioccolato; rigorosi e severi nella loro seducente femminilità, avrebbero avuto maggior impatto sul pubblico proprio grazie alle “movenze da gazzella” dell’indossatrice.
Il gesto di Ferdinandi, che a lui costò un certo appartamento dal mondo della moda che ruotava intorno a Giorgini, fu coraggioso, frutto del suo anticonformismo, ma anche della sua chiaroveggenza. Aveva rotto per l’Italia un tabù, aveva dato inizio alla pratica, oggi così in auge ma allora così sconosciuta, di inclusione di una modella nera accanto a modelle dalla carnagione chiara. Dalle testimonianze di ricordi di Ferdinando figlio di Vincenzo sappiamo che Francine fu chiamata dallo stesso Giorgini l’anno dopo o il successivo, ancora a Firenze ad indossare costumi da bagno al Circolo del Golf e poi anche a Roma da Roberto Capucci.
Di Dolores Francine sappiamo poco altro dopo il suo successo come indossatrice; si è dedicata al cinema, vive ancora ed ha 92 anni.