Una marcia in più per il lusso Italiano
A seguito della fuoriuscita di Luca Cordero di Montezemolo dalla Ferrari e con l’assunzione della Presidenza della casa di Maranello da parte di Sergio Marchionne, volitivo amministratore delegato di FCA (Gruppo Fiat-Chrysler), si sono fatte insistenti le voci sulla possibile costituzione di un polo italiano del lusso che aggreghi, oltre al brand iconico del Cavallino Rampante, anche importanti nomi della moda e della manifattura tricolore d’alta gamma.
Per ora sembra solo fanta-economia, ma la business community continua a discutere questo rumor con grande eccitazione nella speranza che si traduca presto in realtà.
Anche noi analisti, si parva licet, dovremmo salutare con entusiasmo un simile scenario che delinea un nuovo concetto di Made in Italy nascente sotto l’egida della Ferrari, il marchio più potente e famoso nel mondo (superiore perfino a Coca Cola o Rolex o Google), da cui potrebbe derivare una spinta propulsiva e acceleratrice, seppur in tempi non bevi, al processo di riassetto del nostro sistema produttivo: assumendo il ruolo di incubatore, per così dire, e poi di rampa di lancio del Made in Italy, la “rossa” ci porterebbe a dimensioni e a scale che oggi appaiono solo un miraggio.
Dopo che Fiat con l’operazione americana si è proiettata decisamente nel mercato worldwide, di fatto oggi rappresenta un problema non trascurabile l’esigenza di mantenere l’italianità di Ferrari (simbolo del know-how d’eccellenza, della storica cultura artigianale, della perfetta sintesi di competenza e buon gusto del Belpaese). In parallelo, esiste un’altra questione strategica che riguarda il futuro di alcune griffe di rilievo del Made in Italy, alcune delle quali ancora a solida gestione familiare. In proposito l’esempio più citato è la maison di Giorgio Armani, il grande stilista ormai ottuagenario, per quanto in piena forma, sulla cui successione si sprecano voci: venderà, non venderà, si alleerà, con chi?
Ebbene, alla luce di quanto ragionato sopra circa l’eventuale nascita di un polo del lusso italiano targato Ferrari, il Gruppo Armani sarebbe il primo a trarre beneficio dall’entrata in quest’orbita sistemica in grado di riorganizzare e ristrutturare il capitalismo italiano in ottica evolutiva sana. Così aumenterebbero notevolmente le potenzialità della nostra manifattura di conquistare la leadership nelle filiere globali a più alto valore aggiunto.
Ha scritto Paolo Bricco già nel Settembre scorso sul Sole-24 Ore: “Una ipotesi a cui molti guardano con la concupiscenza con cui si osserva la pelle degli interni della Ferrari è basata sulla congettura della quotazione di quest’ultima. Prima considerazione dei banchieri d’affari: Chrysler e Fiat compongono un organismo industriale complementare e omogeneo; la Ferrari, ma anche la Maserati e l’Alfa Romeo, potrebbero benissimo sviluppare tutta la loro forza industriale e commerciale benefica in FCA, essendo però conferite a un’altra società, sempre da sottoporre a quotazione. In quella maniera, le auto icona sarebbero in grado di liberare nella misura più estesa tutto il loro potenziale finanziario. A quel punto, in un ipotetico scambio di azioni Fiat contro azioni Ferrari, un pacchetto rilevante di quest’ultima andrebbe – in forma diretta o indiretta – sotto il controllo di Exor. E qui sul mercato le riflessioni si fanno parossistiche. Perché, secondo alcuni, proprio il nocciolo duro di Ferrari potrebbe diventare il primo (prezioso) mattoncino su cui edificare una riorganizzazione sistemica del Made in Italy italiano”. [Per i non addetti ai lavori, va precisato che EXOR è la holding finanziaria controllata dalla famiglia Agnelli].
Per realizzare questi desiderata occorreranno manager lungimiranti o meglio dalla visione globale, oltre che esperti e intelligenti. Il mondo fashion ha dimostrato che al suo interno non mancano e che possono guidare (anche) una fiammante Ferrari verso le mete più lontane.