Una moda in inverno
Prima di scrivere questo articolo, mi sono chiesta a lungo se valesse la pena o meno di procedere. In effetti, dopo aver visto e rivisto le sfilate di Milano e Parigi per il prossimo autunno/inverno, sono rimasta alquanto perplessa. A sprazzi fascinose, hanno brillato soprattutto per incoerenza, quasi che la moda non sapesse più dove attingere ispirazione, energia, futuro.
Parigi, in particolare, mi è parsa poco concreta, stanca, indecisa a tutto, talora esagerata o pateticamente buffa. Il fondatore in persona della maison YSL Pierre Bergé si è spinto a deprecare i troppi “travestitismi”, stigmatizzando i couturier che non servono più le donne, come dovrebbero, ma si servono delle donne! In effetti, se ne son viste di tutti i colori, in senso letterale e metaforico.
C’era chi guardava allo street style più ovvio (Céline) e chi al grunge d’oltreoceano (niente meno che Yves Saint Laurent nelle fresche mani di uno Hedi Slimane con velleità anarcoidi), chi strizzava l’occhio all’estetica delle groupies anni Sessanta (Chanel) e chi al guardaroba gitano (Givenchy). E poi c’era chi, come Miu Miu, si tuffava nell’universo parallelo dei fumetti di Hanna&Barbera e chi, come Louis Vuitton, ricorreva al solito stilema della donna fatale-ambigua-depravata, ancora una volta affidato alla torbida interpretazione di Kate Moss. Infine, non mancava chi pescava il suo fil rouge nel mondo dell’arte, dall’antica pittura nordica (Valentino) alla panaceica pop-art (Dior).
Insomma, chi ci ha capito qualcosa è stato bravo: quel che mi sembra latente o addirittura mancante in questo “show” è una visione dal fiato lungo, un disegno logico, un ordito che raccordi armoniosamente tutti i fili facendo apparire una figura chiara.
Un po’ più “robuste” mi sono parse le proposte delle passerelle milanesi, dove comunque mai come stavolta si è usata la centrifuga per mixare gli ingredienti più disparati, anche dove questi si respingevano palesemente. La password collettiva quindi era: fusion. Quindi, largo alle contaminazioni di tessuti, di colori, di fantasie. Così, se Prada ha mescolato il tweed ai ricami con le paillettes, il cotone alla pelle, Blugirl ha fatto sposare (con ottime prospettive di divorzio) il tartan al maculato, il british style alle stampe orientali coi classici dragoni. E a Marni che ha inserito la pelliccia sulla seta ha risposto Antonio Marras con le gonne ricavate da coperte militari profilate di fiori.
E’ una moda in cui vale tutto… e quindi non vale niente? Hanno un bel dire gli stilisti a sostenere che sotto il “caos” c’è un’intelligenza. Forse la sottoscritta deve averne poca, se è vero che si sente piuttosto disorientata in questo “frullato” di fashion.
Mi limiterò, allora, a pochi cenni su quanto di meglio ho colto nei defilé milanesi, che – sia detto per inciso, in realtà per sottolinearlo doppiamente – valgono 150 miliardi di euro (ben 50 miliardi in più del marchio “moda parigina”), secondo un recente studio della Camera di Commercio di Monza e Brianza.
Ho avuto l’impressione, nei casi migliori, che lo sguardo fosse volto indietro a 180°, in particolare verso gli anni del dopoguerra, quando la moda si assegnò la missione di far rinascere il mito dell’eterno femminino, quindi di rendere la donna seducente ed aristocratica, coprendola di enigma e preziosità.
Pertanto Gucci e Prada hanno reinventato il tailleur, ammantandolo di sofisticatezza, svasando le gonne e incidendole di spacchi dietro, perfezionando la caduta delle giacche e segnando graziosamente il punto vita con la cintura. Belle poi le stole e le mantelle, per non dire dei cappotti di Max Mara, caldi e confortevoli nei cromatismi del cammello, del blu, del nero. Quest’ultimo sarà ancora una volta un atout, un capo vincente, del prossimo inverno (vedasi Armani), dove comunque ad imporsi sarà decisamente il monocolore da capo a piedi (Trussardi, Scervino, Colangelo gli hanno reso onore superbamente).
Il duo siciliano stavolta ha puntato su una donna “adulta”, splendida-splendente più che mai: le modelle con le corone in testa hanno voluto essere un (ennesimo) inno alla femminilità regale da parte di Dolce&Gabbana, felicemente fedeli al loro culto dello sfarzo ottocentesco, in un trionfo di pizzi e ori.
In conclusione, la moda, oltre che un business, è sempre più uno spettacolo e forse fa bene Giorgio Armani a provocare le nostre menti affermando che “Non esiste una moda, ma modi di essere”. Un po’ retorico, ma indubbiamente vero.
Auguri moda, che ti sorrida la primavera!