Uun sogno chiamato Barocco
Il termine “barocco” ricorre nei più svariati contesti per indicare un gusto accentuato per l’ornamentazione e il decoro fantasioso. In effetti i caratteri di quell’arte che dominò il periodo storico dal tardo Rinascimento al Neoclassicismo, fondendo ideali formali e morali, fanno capolino di continuo con più o meno rapide incursioni anche nella cultura contemporanea con i loro tratti distintivi: passione per il monumentale, il fantastico, l’effetto drammatico, le prospettive scenografiche, l’esteriorità, la libertà espressiva, il gioco cromatico. Non ne è esente la moda, in cui a momenti di stile minimal si alternano fasi creativamente più vivaci e opulente. Ora è nato un nuovo marchio nel panorama fashion italiano, che trova nel barocco la sua cifra distintiva.
Si rifà in particolare all’iperdecorativismo del barocco siciliano il brand Monya Grana Hybla che contrassegna le sofisticate borse artigianali concepite dall’imprenditrice ragusana Monya Grana, da cui promana tutto il fascino di un’arte “un po’ beffarda e grottesca incisa un tempo con maestria su balconi e facciate nobiliari sicule”. Si veda il modello “Luk” (Lucca) con il mascherone dalle lunghe orecchie che è il fauno dell’estasi e della liberazione dei sensi – simbolo di lunga vita e somma felicità – oppure il modello “Taur”(Torino) con il fauno protettore dei viaggiatori, degli affari e dei guadagni, la cui linguaccia esibita apotropaicamente tiene lontano la negatività.
La collezione per adesso comprende un solo modello di “lady bag” realizzato in due colori e due varianti di mascheroni differenti, prodotto in un laboratorio toscano con materiali di altissima qualità, provenienti anch’essi al 100% dalla regione di Dante. Il corpo della borsa è realizzato in tessuto “jagart” (sic) con immagine intramata (non stampata e non ricamata) da entrambe le parti, rifiniture accurate in pelle di vitello, interno in raso con trame in seta.
Le sontuose borse Monya Grana Hybla vogliono incontrare i gusti di una donna colta, raffinata ed elegante, che oltre alla bellezza e alla classe sappia apprezzare i valori di un nobile passato. “Hybla” (antico nome greco di Ragusa) non intende quindi essere solo una collezione di borse haut-de-gamme o di nicchia, ma un progetto dove la moda incontra l’arte e la cultura, tutto all’insegna del Made in Italy.
Della sua “visione” racconta la stessa Monya parlando di sé in terza persona con un linguaggio piacevolmente letterario: “Alzò lo sguardo verso la Cattedrale di San Giorgio e si perdette in quell’immenso panorama, simbolo di un barocco spagnoleggiante. Un santo greco commemorato nella sua città, una delle più belle della sua terra: la Sicilia. Era ancora una bambina quando il nonno le sussurrava delle storie a lei lontane. Alzò lo sguardo e un mascherone grottesco la spaventò. Come un monito, come un divieto. La terra madre, il suono della voce del nonno e tutta quell’arte che la circondava: era ancora una bambina, quando scoprì la potenza del barocco, di tutte quelle storie che le si svelavano davanti agli occhi, che la intimorivano e, allo stesso tempo, la incitavano a buttarcisi dentro. I balconi di una nobiltà decaduta, in un caldo estivo atroce di una terra stanca di troppa cultura, la rendevano una bambina irrequieta. Pronta a esplorare. A fuggir via da un amore epocale, da una passione viscerale, da una sensazione esponenziale. Diventò così una ragazza siciliana. Forte come la sua tradizione, tenace come la sua terra. Piena di misteri come una delle sue arti. Donna barocca e quindi esigente. Lasciò la propria madre terra per confondersi con altri orizzonti, con altri mondi, con altri sguardi. Alla ricerca dell’ignoto, ma con la mente carica di immagini, di narrazioni, di ombre. Monya abbandonò le storie del nonno e guardò sempre più in alto, dove il padre le aveva sempre indicato. Si perse in tutta Italia, in una forma di sacralità femminile. Iniziò a rivedere la sua terra ovunque, senza tregua. I suoi personaggi usciti da un romanzo: “orgogliosi, vanesi, folli, viziosi, logori, e non sazi della vita, belli e vuoti, scettici, mondani, egoisti”. Era ormai distante da tutti loro, ma la Sicilia tornava. Come un richiamo ancestrale. Il suo fu un viaggio senza sosta, nella storia, nel tempo. Si ritrovò la bellezza pulsarle nelle vene, assieme ad altre due divinità: la lungimiranza e la tenacia. Lontana dalla sua città, persa tra i pezzi di terra italica, tra Lucca e Torino, tra Roma e Venezia, Monya fece un sogno e le sue mani iniziarono a creare ciò da cui stava evadendo. Stava riproducendo lo stesso rumore di passi felpati di una donna che fugge dall’amante, in piena notte, ai piedi di un altare. Come in un film di Fellini, colorato e onirico; come in un’inquadratura di una bellezza estrema firmata da Visconti. Una borsa di un’eleganza quotidiana: uno scrigno contenente tutto l’oro della cultura. Il sogno si fece sempre più chiaro come una pellicola italiana; il film si incarnò in una storia e le immagini crearono una nuova alba. E sulla borsa comparì un mascherone. Sì, proprio quel richiamo, proprio quel monito. Degna erede dei Vicerè, del Gattopardo, fantastica erede di quel barocco siciliano, Monya si destò dal suo sogno e alzò di nuovo gli occhi verso il cielo, ritrovando gli stessi mascheroni, le stesse allegorie, le stesse storie di luci ed ombre, di santi e di demoni. Sprofondò nella meraviglia dell’arte barocca, con eleganza e stile. Intuì che un tempo il barocco era un valore italiano e non solo un modo d’essere siciliano. Comprese di essere donna, erede di una tradizione, di una terra, di un valore e di dover rendere omaggio, ritornando. Ritornando verso un luogo preciso: Hybla, dove tutto ebbe inizio, insieme alla sua borsa con cui aveva vissuto un sogno”.