Una magia chiamata lapislazzuli
Al lapislazzuli il Museo degli Argenti di Palazzo Pitti a Firenze dedica una mostra di grande fascino, in corso fino all’11 Ottobre. “Lapislazzuli. Magia del blu” – questo il titolo – è un omaggio ad una pietra speciale che, oltre ad entrare in splendidi gioielli, ebbe in passato un vasto impiego in arte, fornendo – una volta macinato e ridotto in polvere – quello che insieme all’oro è il più regale e costoso dei pigmenti: il blu detto oltremare naturale, capace di evocare le supreme sfere supreme celesti. Curata da Maria Sframeli, Valentina Conticelli, Riccardo Gennaioli, Giancarlo Parodi, l’esposizione è promossa dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e nasce dall’idea non solo di approfondire lo studio di splendidi manufatti artistici, ma anche di indagare in sinergia gli aspetti più prettamente mineralogici.
Quale miglior sede del Museo degli Argenti per un simile evento? Le sue “Stanze del Tesoro” custodiscono in effetti una straordinaria collezione di vasi intagliati in lapislazzuli, dalle esuberanti forme ispirate al Manierismo fiorentino. Si tratta di un patrimonio unico al mondo, di cui Cosimo I de’ Medici fu l’iniziatore a metà del XVI secolo. L’assortimento poi venne arricchito per merito soprattutto di Francesco I e di suo fratello Ferdinando, cardinale, che gli succedette nella carica di Granduca di Toscana (molti di questi preziosi oggetti vennero realizzati nei laboratori del Casino di San Marco e nel complesso vasariano degli Uffizi).
La squisita mostra fiorentina si articola in quattro sezioni. La prima – Dalla Natura all’Artificio – propone una selezione di lapislazzuli di varia formazione e provenienza (prestati per l’occasione dai più prestigiosi musei d’Europa), posti a confronto diretto con i massimi esiti nell’utilizzo della gemma in vasi e coppe, fiasche e mesciroba, originariamente destinati alle corti principesche. La seconda sezione – Commesso in pietre dure e pietre dipinte – racconta l’evoluzione nell’utilizzo del lapislazzuli nel primo Seicento nell’ambito del mosaico fiorentino e in quello della pittura su pietra, animati dallo stesso desiderio di fissare la natura nei colori immutabili della pietra. La terza sezione – La pietra blu nel fasto principesco – testimonia come, allorché il lapislazzuli si fa sempre più raro, venga destinato quasi esclusivamente a oggetti di notevolissimo pregio artistico e di elevata committenza, sia profani sia sacri. La quarta sezione – Dall’Oltremare al Blu Klein – è dedicata al pigmento. Quando si tratta dell’utilizzo del lapislazzuli in campo artistico, non si può non pensare al meraviglioso azzurro “oltremarino”, decantato all’inizio del Quattrocento dal pittore Cennino Cennini nel suo celebre “Libro dell’arte”, in cui viene descritto il modo di ricavare il prezioso pigmento dalla macinazione della pietra. La rassegna si chiude con un accenno alle sperimentazioni, tentate fin dal Settecento e protratte per tutto l’Ottocento, per ottenere materiali in grado di sostituire la pietra naturale e creare una sostanza che potesse uguagliare l’intensità dell’oltremare. nelle arti dalle origini ai nostri giorni.
Contrariamente a quello che comunemente si pensa, il lapislazzuli non è un minerale ma una roccia composta da diversi minerali. Il suo colore blu è dato dal minerale che ne è dominante, la lazurite. Al mondo esistono pochi giacimenti di lapislazzuli, ma sono tutti legati tra loro da una comune geologia: il metamorfismo. Il giacimento principale, ed anche il più antico, citato da Marco Polo, si trova nelle montagne di Sar e Sang. Sono picchi che culminano a più di 7000 metri di altitudine, situati nell’Hindu Kush, nell’Afganistan settentrionale ed accessibili solo attraverso passi situati a non meno di 5000 metri. Le lenti di lapislazzuli, spesse qualche metro, sembrano delineare dei drappeggi blu nel candore del marmo. Sono il risultato della circolazione di fluidi idrotermali profondi e ricchi di sodio, zolfo e cloro durante la formazione delle catene montuose. I sollevamenti tettonici hanno portato in seguito queste meraviglie alla superficie. Ed il lapislazzuli si estrae tutt’ora. L’utilizzo del lapislazzuli per la fabbricazione di oggetti ornamentali o di culto è molto antica. Il percorso espositivo inizierà con reperti archeologici provenienti dagli scavi condotti nella valle dell’Indo (Mehrgarth, 7000 a.C.), in Mesopotamia (Sumer, 6000 a.C., Ur, 2500 a.C.) e in Egitto (durante la XVIII dinastia, 1500 a.C. circa).
Nel Rinascimento la preziosità del materiale fu particolarmente apprezzata a Firenze. Proprio alla corte dei Medici ebbe inizio una delle più spettacolari collezioni di oggetti in lapislazzuli d’Europa: non solo coppe, vasi e anfore, ma anche mobili intarsiati, piani di tavolo e commessi prodotti nelle botteghe fondate da Francesco I nel Casino di San Marco e nei laboratori istituiti da Ferdinando I nel complesso vasariano degli Uffizi, fino al tramonto della dinastia.
Il lapislazzuli, ridotto in polvere ad uso di pigmento, fu utilizzato dall’antichità fino al XIX secolo. Colore iconografico della Santa Vergine, colore simbolico della dignità reale, colore emblematico dei re di Francia, colore della moda: il blu diventa, verso la fine del Medioevo, il più bello e nobile fra i colori. Quando il lapislazzuli fece la sua prima apparizione in Europa, era conosciuto con il termine di “ultramarinum”, cioè proveniente da “al di là del mare”, da cui il nome di oltremare. Importato in Europa in quantità importanti dai mercanti veneziani, il lapislazzuli veniva pagato a peso d’oro e divenne il “blu” per antonomasia, uno dei colori più ricchi e preziosi, che veniva spesso associato alla porpora e all’oro. L’utilizzo del lapislazzuli in campo pittorico sarà oggetto di una sezione della mostra.
Verso la fine del XVII secolo e per tutto il XVIII, a causa di una penuria di lazurite, ci fu una forte domanda di pigmento blu. Nel 1814 il chimico francese Tassaert, che lavorava in una fabbrica della società Saint-Gobain che produceva della calce, osservò la formazione spontanea di un pigmento blu molto simile all’oltremare: è la nascita della sintesi dell’oltremare artificiale. Lo sviluppo della chimica nel secolo dei Lumi, permise anche la scoperta di altri pigmenti sintetici. È stato solo nel XX secolo che si è ridato al lapislazzuli il suo ruolo aristocratico: nel 1956 l’artista francese Yves Klein mise a punto un particolare blu, molto profondo, utilizzando un pigmento oltremare sintetico mescolato ad una resina industriale. Questo colore, ricordo quasi perfetto di quel lapislazzuli impiegato per dipingere i manti delle Madonne del Rinascimento, diventerà celebre con il nome di International Klein Blue («IKB»). Quest’ultima sezione raccoglierà i vari esempi di artisti contemporanei che hanno utilizzato per le loro opere questi nuovi pigmenti.
La mostra, la prima in assoluto dedicata a questo specifico argomento, intende documentare la passione per questo prezioso materiale e il suo uso nelle scienze e nelle arti dalle origini ai nostri giorni.
Contrariamente a quello che comunemente si pensa, il lapislazzuli non è un minerale ma una roccia composta da diversi minerali. Il suo colore blu è dato dal minerale che ne è dominante, la lazurite. Al mondo esistono pochi giacimenti di lapislazzuli, ma sono tutti legati tra loro da una comune geologia: il metamorfismo. Il giacimento principale, ed anche il più antico, citato da Marco Polo, si trova nelle montagne di Sar e Sang. Sono picchi che culminano a più di 7000 metri di altitudine, situati nell’Hindu Kush, nell’Afganistan settentrionale ed accessibili solo attraverso passi situati a non meno di 5000 metri. Le lenti di lapislazzuli, spesse qualche metro, sembrano delineare dei drappeggi blu nel candore del marmo. Sono il risultato della circolazione di fluidi idrotermali profondi e ricchi di sodio, zolfo e cloro durante la formazione delle catene montuose. I sollevamenti tettonici hanno portato in seguito queste meraviglie alla superficie. Ed il lapislazzuli si estrae tutt’ora.
L’utilizzo del lapislazzuli per la fabbricazione di oggetti ornamentali o di culto è molto antica. Il percorso espositivo inizierà con reperti archeologici provenienti dagli scavi condotti nella valle dell’Indo (Mehrgarth, 7000 a.C.), in Mesopotamia (Sumer, 6000 a.C., Ur, 2500 a.C.) e in Egitto (durante la XVIII dinastia, 1500 a.C. circa).
Nel Rinascimento la preziosità del materiale fu particolarmente apprezzata a Firenze. Proprio alla corte dei Medici ebbe inizio una delle più spettacolari collezioni di oggetti in lapislazzuli d’Europa: non solo coppe, vasi e anfore, ma anche mobili intarsiati, piani di tavolo e commessi prodotti nelle botteghe fondate da Francesco I nel Casino di San Marco e nei laboratori istituiti da Ferdinando I nel complesso vasariano degli Uffizi, fino al tramonto della dinastia.
E’ noto che il giacimento principale, oltre che il più antico, di questo minerale si trova in Asia, situato tra le montagne di Sar e Sang (vette culminanti a più di 7000 metri di altitudine, nell’Hindu Kush, Afghanistan settentrionale, accessibili solo attraverso passi a 5000 metri); ne parla anche Marco Polo nel suo diario di viaggio. Lì le lastre di lapislazzuli, spesse alcuni metri, sembrano formare dei suggestivi drappeggi blu nel candore del marmo. Sono il risultato della circolazione di fluidi idrotermali profondi, ricchi di sodio, zolfo e cloro, durante la genesi delle catene montuose. I movimenti tettonici hanno portato in superficie queste massicce “lenti”. Tuttora si estrae il lapislazzuli da tale deposito.
Il suo uso nella produzione di oggetti ornamentali e di culto è antichissima, come ben documenta la mostra fiorentina, il cui percorso inizia appunto con reperti archeologici provenienti dagli scavi archeologici nella valle dell’Indo (Mehrgarth, 7000 a.C.), in Mesopotamia (Sumer, 6000 a.C., Ur, 2500 a.C.) e in Egitto (durante la XVIII dinastia, 1500 a.C. circa). In epoca rinascimentale il pregio del materiale fu apprezzato specialmente a Firenze, dove alla corte medicea fu costituita una delle più spettacolari raccolte europee di oggetti in lapislazzuli: non solo coppe, vasi e anfore, ma anche mobili intarsiati, piani di tavolo e commessi realizzati nelle botteghe locali (fondate dai succitati Francesco I e Ferdinando I), fino al tramonto del casato.
Il lapislazzuli in polvere fu utilizzato fino al XIX secolo. Colore iconografico della Santa Vergine, colore simbolico della dignità reale, colore emblematico dei re di Francia, colore della moda: il blu divenne, verso la fine del Medioevo, il più bello e nobile fra i colori. Importato in Europa in quantità ingenti dai mercanti veneziani, era pagato a peso d’oro e diventò il “blu” per antonomasia, uno dei colori più preziosi, spesso associato alla porpora e all’oro. Verso la fine del Seicento e per tutto il Settecento si verificò una forte richiesta di pigmento, a cui l’estrazione non riusciva a fare fronte. Solo nel 1814 il chimico francese Tassaert riuscì a sintetizzare in laboratorio il sospirato oltremare. Lo sviluppo della chimica permise poi la scoperta di altri pigmenti artificiali.
In seguito, nel XX secolo, fu restituito al lapislazzuli il suo ruolo aristocratico, per così dire, grazie soprattutto all’artista francese Yves Klein che elaborò un particolare blu, assai intenso, utilizzando un pigmento sintetico mescolato ad una resina industriale. Questo colore, che evoca quasi alla perfezione il lapislazzuli utilizzato per dipingere i manti delle Madonne del Rinascimento, divenne famoso come International Klein Blue («IKB»). Così la magia del lapislazzuli continua…