Vellutata bellezza
Tra i “gioielli” che lo scrigno di Venezia può vantare vi è anche la Collezione Storica Rubelli, con sede nel prestigioso Palazzo Corner Spinelli – edificio rinascimentale affacciato sul Canal Grande – che raccoglie più di 6000 documenti tessili databili tra la fine ‘400 e la prima metà del ‘900: quasi cinque secoli di storia dell’eccellenza artigianale italiana nel campo del velluto. Tessuto nobile e raffinato, caldo e luminoso, il velluto evoca atmosfere barocche e fantasie d’Oriente, morbide e sensuali, fragranti di seta e preziosità esotiche. Amato da re e regine, ha la sua capitale nella città lagunare, dove nacquero le lavorazioni più sofisticate, come il “soprarizzo”, così chiamato per indicare la presenza nello stesso tessuto di pelo tagliato e pelo riccio. Un nome divenuto sinonimo di Rubelli.
La collezione Rubelli vide la luce nella seconda metà dell’800, in contemporanea con la fondazione dell’azienda, in un momento in cui la Serenissima stava sperimentando una felice fase di ripresa economica e culturale volta al recupero delle tradizioni manifatturiere, in ossequio al gusto eclettico europeo. Da allora ad oggi la raccolta si è progressivamente arricchita, arrivando ad includere anche tessuti provenienti dall’Oriente, dall’Africa, dalle Americhe. Parte essenziale è costituita dall’archivio storico che conserva le testimonianze della produzione storica originale dell’azienda: tra queste, i ricercati velluti in seta eseguiti per la Casa Reale agli inizi del Novecento e molti altri nati dalla proficua collaborazione con insigni artisti, architetti e designer come Vittorio Zecchin, Alfredo Carnelutti, Guido Cadorin, Umberto Bellotto e Giò Ponti. Celebri sono rimasti i rapporti tra Rubelli e la prima regina d’Italia Margherita, la quale, dopo aver visitato la IV Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia nel 1901, scelse Dante Zeno, figlio ed erede di Lorenzo Rubelli, come suo fornitore ufficiale. In effetti è entrato trionfalmente nella storia il velluto “soprarizzo” in seta con fondo blu e decori di margherite intrecciate ad un nodo Savoia color oro realizzato per l’illustre sovrana, che a seguito della tragica morte del marito fece arredare le sue stanze private da Rubelli con innovative decorazioni in stile Art Nouveau.
La raccolta tessile Rubelli è integrata dal nucleo grafico composto da centinaia di schizzi e disegni preparatori per tessuti e da oltre 2000 messe in carta (carte tecniche per la tessitura dipinte a mano), datate dalla fine dell’800 alla metà del ‘900. I tessuti dell’archivio, dunque, rappresentano di fatto un’inesauribile fonte di spunti creativi per le nuove collezioni, ispirando tessuti esclusivi realizzati secondo le specifiche dei clienti (custom made).
Oggi i compartimenti produttivi del Gruppo Rubelli, all’avanguardia tecnologica ed estetica, sono riconducibili a due categorie principali: la produzione tessile e la produzione di mobili e complementi d’arredo. Nella tessitura Rubelli – che fu l’ottocentesca tessitura Zanchi di Cucciago, in provincia di Como – vengono prodotti la maggior parte dei tessuti con l’omonimo marchio, oltre agli articoli Armani/Casa o prodotti per grandi progetti come i teatri La Scala di Milano, La Fenice di Venezia, il San Carlo di Napoli, il Petruzzelli di Bari, il Bolshoj di Mosca, nonché opere teatrali e cinematografiche (ad esempio “Le relazioni pericolose” con Michelle Pfeiffer e Uma Thurman). Con l’acquisizione del marchio Donghia la produzione del Gruppo Rubelli è giunta a comprendere anche mobili, complementi d’arredo e illuminazione, la cui sede produttiva storica si trova negli Stati Uniti, mentre un dipartimento satellite è stato creato in Italia per soddisfare meglio la domanda di imbottiti del mercato europeo. L’illuminazione, invece, è integralmente prodotta a mano nell’isola di Murano, seguendo le antiche tecniche.
Dalle lontane origini ottocentesche (il primo nucleo fu fondato nel 1835 da G. B. Trapolin, poi acquisito nel 1889 da Lorenzo Rubelli) il cammino percorso è stato lungo e caratterizzato da un successo perdurante dovuto alla capacità di innovare continuamente restando fedeli alla tradizione decorativa veneziana. L’azienda si è espansa sui mercati mondiali, aprendo showroom e filiali all’estero (da Parigi nel 1976 a Dubai, Mosca, Shangai oggi), proseguendo nella politica di acquisizioni in ottica strategica (Bises, Lisio, Dominique Kieffer, oltre al già citato Donghia) e collaborando con brand di prestigio come Armani Casa. Presente in 72 Paesi, Rubelli produce ben 960 tessuti in 7000 varianti.
Le prime tracce del velluto si perdono in un luogo imprecisato lungo la mitica “Via della Seta”, forse nella regione del Kashmir tra India, Pakistan e Cina, da cui, grazie ai mercanti arabi, arrivò in Italia e da qui in tutta Europa, complici il dinamismo manifatturiero e commerciale di città come Lucca, Genova, Firenze e Venezia appunto. In seguito la leadership nell’approvvigionamento di questo materiale passò ai Fiamminghi: di fatto nel ‘500 i rinomati velluti di Bruges raggiunsero picchi di eccellenza.
Il termine velluto (derivato dal latino vellus, vello) cela vari tipi di lavorazione: corduroy (velluto a coste), dévoré (con effetti di trasparenza attraverso procedimenti chimici di scioglimento selettivo della fibra), froissé (sgualcito), il citato “soprarizzo” (operato fino ad ottenere un risultato damascato o cesellato), velveton (alias fustagno, utilizzato specialmente per l’abbigliamento sportivo e tecnico), jacquard (con disegno intessuto nella trama). Grazie all’innovazione tecnologica, oggi si ha anche il velluto elasticizzato, tale per l’addizione di piccole dosi di spandex alla composizione. In origine la fibra per antonomasia da cui si otteneva il velluto era la seta; poi è stato introdotto l’impiego del cotone, del lino, della lana e del mohair, che hanno reso il tessuto più resistente, benché meno opulento. Inoltre, di recente sono stati messi a punto velluti sintetici (in poliestere, acetato, nylon, viscosa).
Tessuto aristocratico e barocco, il velluto fu fonte ispirazione e motivo di culto per grandi personaggi, artisti e sovrani: Riccardo II d’Inghilterra nel 1399 decretò che nessun altro tessuto all’infuori del velluto potesse toccare la sua pelle e volle essere seppellito avvolto in esso; il pittore Tiziano ne fece ampio uso nei suoi dipinti. Mai passato di moda, ha guadagnato le prime pagine di tutto il mondo quando, nel 1996, Gwyneth Paltrow indossò un tuxedo in velluto carminio disegnato da Tom Ford per Gucci alla serata degli MTV Music Awards (in verità Gucci propone spesso capi in questo tessuto per le collezioni autunno-inverno). Anche nelle sfilate della prossima stagione sono stati presentati abiti da sogno in velluto, con Gucci in prima linea, ma ben affiancato da Balmain, Burberry, Prorsum, Ralph Lauren, Chanel, Bottega Veneta, Armani…