Walter Bonatti, l’italiano che vorremmo essere
Estate, tempo fausto alle escursioni in alta montagna, per chi può anche di appassionanti arrampicate tra cielo e mare di roccia. Senza proterve ambizioni di “conquista” delle vette, ma lasciandosi conquistare dalla loro bellezza senza tempo, che sublima lo spirito e lo congiunge al divino. L’aveva capito perfettamente Walter Bonatti, “il più grande alpinista del mondo”, come lo definì la rivista “Paris-Match” nel 1955, a seguito della sua ascesa in solitaria sul pilastro Sudovest del Dru (splendida guglia del Monte Bianco sul versante francese), “epicamente” realizzata in sei giorni. Walter Bonatti: un uomo vero prima che un eroe della montagna.
Morendo a Roma due anni fa, a “soli” 81 anni, egli ci ha consegnato l’eredità più preziosa che un “mito” possa costituire: l’esempio di un’etica severa fatta di principi genuini, a cominciare dal valore-guida della verità. In effetti, la ricerca della verità fu per tutta la sua vita un costante riferimento morale, e ben lo dimostrò la vicenda della conquista del K2 nel 1954, suggellata cinquant’anni dopo dal riconoscimento da parte del CAI del fondamentale contributo dato da Bonatti al successo della spedizione italiana guidata da Ardito Desio.
Pochi, in occasione delle celebrazioni per i 150 anni dell’Unità d’Italia, hanno sottolineato la straordinaria “italianità” di Bonatti, nonchè il prestigio che il suo modello positivo – intriso di valori alti e puri – portò al nostro Paese nel mondo. Nato nel 1930 a Bergamo, egli fu il massimo rappresentante dell’alpinismo estremo, fatto di sangue e sudore, ma mai scevro di senso del limite, nel quindicennio dal 1951 al 1965, anno – quest’ultimo – dell’inatteso ritiro dal mondo delle scalate. Tuttavia, per lui l’avventura della montagna non finì con quell’addio; anzi, Bonatti nei decenni successivi divenne sempre più uno strenuo paladino delle vette e della natura in genere, criticando aspramente gli eccessi del turismo, l’invasione commerciale del mondo dello sport, il dilagare del business persino in alta quota.
Fu un impegno coltivato soprattutto per mezzo della scrittura, la sua “arma” per continuare ad esercitare l’ascendente morale di cui poteva legittimamente disporre. Walter Bonatti, infatti, va pure ricordato come un brillante esploratore e reporter di viaggio, autore di libri eccellenti (“Le mie montagne”, “I giorni grandi”, poi ripubblicati in un unico volume dall’editore Dalai col titolo “Montagne di una vita”).
Per lui la montagna era la vita: desiderio di scoperta dell’assoluto, solidarietà, coraggio, sacrificio, lealtà, affermazione della dignità di ogni creatura animale-vegetale-minerale, rispetto, sana sfida competitiva prima di tutto con se stesso, patriottismo. Sì, patriottismo: Bonatti si era formato sulle Grigne lecchesi negli anni del dopoguerra, allorché nell’alpinismo si riflettevano i valori della ricostruzione e quindi del boom socio-economico. Del resto, quando era ancora un semplice operaio dell’acciaieria Falck, aveva già scalato la parete Est del Grand Capucin, nel massiccio del Bianco (assieme a Luciano Ghigo, impiegato alle Ferriere Fiat).
Dalle Dolomiti al Monte Bianco, il suo fu spesso un alpinismo “drammatico”, sofferto, segnato anche da insuccessi e tragedie, come nel fallito tentativo di scalare il Pilone centrale del Freney nel 1961, quando egli fu costretto alla ritirata per l’infuriare di una tempesta e perse quattro compagni, portandone però in salvo altri due (tra cui Pierre Mazeaud, altro grande protagonista del mondo delle scalate ed anche della politica francese, che gli fu amico per tutta la vita).
Il ritiro di Bonatti dalla “dimensione verticale” fu una sorpresa per tutti, tanto più che egli aveva appena aperto una nuova via sulla parte Nord del Cervino, impresa solitaria compiuta in inverno. Fu una lezione di classe e di civiltà anche questa: dopo l’avventura della montagna, era giunto per lui il momento di cominciarne un’altra, quella dell’uomo maturo e cosciente di se stesso che decide di esprimere le sue passioni in altro modo, mettendosi più concretamente al servizio degli altri, della natura, dei valori più belli per cui tutti siamo venuti al mondo.