La morbida Signora dell’Architettura
Da pochi giorni il mondo dell’Architettura, dell’Arte, della Bellezza ha perso una luce brillante.
Si è spenta a Miami Zaha Hadid, Archistar nota ovunque per la sua peculiare modalità di essere e di operare.
Irachena di nascita (Baghdad, 1950), ma cresciuta a Londra -dove ha dato vita a uno studio che conta più di 250 collaboratori di altissima fama-; amante della matematica (disciplina in cui si è laureata) e dell’aspetto sublime della natura; prima donna a portarsi a casa il massimo riconoscimento per l’architettura, vale a dire il Pritzker Prize (nel 2004); maestosa e imponente figura dalla quale emanava il fascino tipico di chi non ha bisogno di dire più del dovuto, perché ella stessa traccia vivente di cui prendere puntualmente atto.
Ogni angolo del pianeta ne è testimone. Le sue costruzioni avvolgenti e sinuose che paiono dover prendere il volo; le sue prospettive create con magistrale tocco giocato tra forma e sostanza; la ricerca degli equilibri laddove altri neanche avrebbero osato posare il pensiero. E poi…i suoi abiti architettonici scelti forse con l’intento di replicare su di sé la smisurata passione per la volumetria circolare usata nel suo lavoro – un “duro” lavoro smussato con l’armonia delle linee e con l’audacia delle volute-; i suoi occhi così tondi e vagamente languidi da evocare altre struggenti simmetrie; la “forza” quasi perentoria dei suoi gioielli sfoggiati con rara disinvoltura e sempre recanti un messaggio -come dimenticare quell’anello a forma di “infinito” che spesso si è visto al suo dito medio?-.
Spazio, luce, ordine: elementi fondamentali come il pane o un posto per dormire, diceva Le Corbusier; ma anche sogno, battito, tuffo, ci ha insegnato Hadid.
Molte cose sono state scritte in questi giorni successivi alla sua morte, ma ci piace trascrivere un pezzo comparso su Io Donna (Magazine del Corriere della Sera) nel 2011 a firma Marina Terragni. Le sue palpitanti parole usate illo tempore nei confronti di una donna poliedrica e mai definitiva quale Zaha, trasmesse con la consapevolezza di trovarsi in presenza di qualcuno ricco -nella testa e nel cuore- del desiderio di partecipare alla “restaurazione” del mondo, rispondono, secondo noi, a un quadro perfetto di questa elegantissima Lady e sottolineano, come un prezioso “occhio di bue” che esalta con garbo ciò su cui è puntato, la sua reale/regale grandezza. In tutto.
Eccolo……
“La regina
Essere Zaha Hadid, madre di magnificenze come il Maxxi di Roma, il Guggenheim di Taiwan, l’Opera House di Canton, forme fluide che sembrano intrappolare il dinamismo della vita e pulsare della sua stessa energia, è un modo superbo di essere donna e di dare forma a quel “fantastico” (io lo chiamo femminile, ma posso chiamarlo anche immaginazione creatrice) a cui lei non ha mai voluto rinunciare, con la sua ricerca caparbia.
L’ho incontrata ieri in un Politecnico traboccante di entusiasmo e di ragazzi, che l’hanno accolta con vero amore –Milano al meglio delle sue possibilità di creazione e relazione-, le ho fatto una domanda, sono stata colpita da molte delle sue risposte.
Mi è molto piaciuta, in particolare quando ha detto che nell’insegnamento fa “molto conto sul fattore paura”. Che ci vuole un misto di terrore e accompagnamento, per ottenere risultati dai ragazzi. Temo che sia proprio così, che questo faccia parte delle responsabilità di una regina, che sono anche politiche. E ho pensato, mentre lo diceva, che è anche doloroso, in qualche punto del cuore, ma necessario.
Ho un paio di meravigliose scarpe disegnate da Zaha, tra organico e inorganico, animali fantastici ma anche sculture alla Boccioni. E’ stato un colpo di fulmine. Il mio numero non l’avevano, ho comprato un numero meno illudendomi di starci, pur di averle. Non ci sto. Le metterò su una mensola o in una teca, credo.
Vorrei essere Zaha Hadid.”
La difficoltà di ritrovarla nelle “costruzioni a venire” si stempera nella certezza di poterla scorgere osservando una pettinata collina, un esaltante cumulonembo, l’ansa di un fiume, le gentili curve di una strada di campagna, l’enigmatico volto della luna, l’incredibile rotondità della terra, il sempiterno mistero dell’impenetrabilità dello spazio……
“People think that the most
appropriate building is a
rectangle, because that’s
typically the best way of using space.
But is that to say that
landscape is a waste of space?
The World is not a rectangle”
ZAHA HADID