Italian Man
Il mondo della moda maschile, in apparenza più statico di quello femminile, è animato in realtà da un dinamismo carsico, in cui si celano tutti i mood dell’identità virile.
Fino a qualche tempo fa la differenziazione la faceva l’abito, mentre ora sono gli accessori ed i segni corporali (dal piercing al tatuaggio, dal trucco al capello tinto) le prove di pluralità, ovvero simboli di eversione estetica, che tuttavia non mirano più a demarcare un genere, bensì aspirano alla mera libertà espressiva, dietro cui si cela un bisogno di tutelare la propria intimità. Quindi, sì al conformismo dell’uniforme nel vestire, ma con spirito dissacratorio dell’idea di ordine, alla ricerca di “valori nuovi” che sempre più concilino “bello” con “buono”.
Quasi tutti gli stilisti, in effetti, sono alle prese con la reinterpretazione di se stessi omogeneizzando la gamma di simboli entro cui muoversi, ispirandosi quindi ad una sorta di personale “divisa” ed ordinando l’estetica secondo architetture diverse.
Il vero fascino della divisa, forse, sta proprio nella opportunità di contraddizione che essa offre tra il conformarsi all’autorità e, nello stesso tempo, il violare la disciplina, sottraendo identità personale e restituendone una meramente fisica. Quando manca una dimensione “epica” del vivere, tanto vale acquisirne una ideale, elegante e formale, che consenta l’affermazione di sé per altre vie creative.
Riguardo alle divise indossate da tanti giovani (pantaloni larghi, magliette striminzite in vita, piumini dalla grafica aggressiva, ecc.), pare che in loro alligni una sorta di timore di vivere e, per vincerlo, adottino una corazza protettiva, che consenta di non lordarsi le mani e, intanto, di continuare a giocare, delegando le emozioni vere ai protagonisti virtuali delle play-station.
Quando invece l’informalità nel vestire riguarda l’uomo, il discorso cambia: dietro al fenomeno, infatti, si nascondono una sofisticazione della ricerca estetica e la sperimentazione di materiali innovativi. Se è vero che l’apparente trasandatezza attinge a piene mani al mondo “eroico” del cinema (dai cow-boy ai belli e dannati che bruciano la gioventù), è altrettanto vero che il casual ha sempre giocato e vinto sul terreno del fascino della libertà, quasi prefigurando una sorta di “men’s lib”.
Il passo dal casual allo sportswear è stato poi breve, tanto che non esistono ormai linee di confine nette tra i due ambiti. Del resto, sono rimasti in pochi, tra gli stilisti, a praticare filosofie diverse per i due mondi, con Prada che addirittura è stata l’apripista di questa fusione di generi, vestendo di comodità la raffinatezza. E proprio nella direzione del rispetto di un’estetica formale unita a benessere sostanziale si stanno muovendo le aziende di moda più grandi.
Comunque sbaglia chi pensa che lo sportswear sia tutto nylon e acrilico, perché anche qui si distinguono due anime: una più “da palestra”, l’altra più fine e aristocratica, da “gentiluomo di campagna”, che si ispira alla natura nei colori e nei tessuti eco-friendly. Quindi, il concetto di moda maschile si mescola sempre più con quello di novità, intesa anche e soprattutto come ricerca scientifica che mira a togliere peso alla forma.
Si può forse parlare di neo-edonismo? Forse sì, come testimoniano le ultime sfilate, tese a rilanciare il made in Italy in questa direzione.
Tuttavia, non scordiamo che quando gli stranieri cercano il meglio dello stile italiano, si rivolgono ancora prevalentemente al classico: vedi Hollywood, le cui major continuano a far confezionare gli abiti di scena in Italia ed a preferire per i protagonisti dei film di punta le grandi griffe del Belpaese (James Bond docet). E gli stilisti, dal canto loro, spesso considerano gli attori i migliori testimonial dei loro abiti, parlando tutti la stessa lingua e così corroborando l’idea che questi due mondi siano assolutamente contigui, impegnati entrambi a “fare spettacolo”.
Plus ça change, plus c’est la même chose.