Alla ricerca della “Natività” perduta
Questa “Natività” del Caravaggio, uno dei capolavori dell’arte universale, è anche una delle opere più ricercate dalle Polizie internazionali, dopo che venne incredibilmente trafugata, ormai 50 anni fa, dall’Oratorio di San Lorenzo a Palermo (nel 2009 il “pentito” Gaspare Spatuzza confermò il sospetto che il furto fosse stato ordinato da un capomafia e aggiunse poi che il dipinto era stato nascosto in una stalla dove gli animali l’avevano rosicchiato, infine il fuoco l’aveva incenerito… Auguriamoci che non sia vero!).
Dipinta con tecnica ad olio nel 1609, questa tela (298 x 197 cm) fu commissionata al grande artista lombardo dalla Compagnia dei Cordiglieri e dei Bardigli di Palermo (frati Minori Conventuali noti per essere dediti alla sepoltura dei cadaveri abbandonati) e da lui realizzata in pochi giorni durante il suo presunto soggiorno nel capoluogo siciliano.
Il quadro mostra vari personaggi sulla scena, ma lo sguardo è attratto principalmente dalla figura dolcissima della Madonna, semisdraiata a terra con una mano posata sul grembo, in una postura del corpo che disegna linee morbide e sinuose. Il suo volto mesto, anche se si rifà a modelli iconografici classici, evoca in realtà la bellezza popolare di una donna comune, forse di una modella romana ricordata dal pittore.
Dietro la Vergine, sulla destra, appare in mistica adorazione San Francesco (titolare della Compagnia committente), in piedi a mani giunte, mentre sul lato opposto si staglia l’ampia figura di San Lorenzo (patrono dell’Oratorio), anch’egli in piedi, accanto ad una grande graticola che simboleggia il suo martirio. Si intravede anche la testa del bue, mentre l’asino è solo intuibile nel fondo scuro. La parte superiore della pala è dominata dalla splendida silhouette di un angelo in atto di planare, il quale indica con la destra verso l’alto, e con la sinistra, che regge un cartiglio proclamante Gloria In Eccelsis Deo, Gesù Bambino adagiato a terra su di un umile giaciglio.
L’atmosfera di intensa spiritualità che emana questo dipinto è suscitata anche dagli effetti chiaroscurali e dai colori che passano dalle cromie più scure a quelle più vivide: si osservino il rosso del corsetto di Maria, il giallo della dalmatica di San Lorenzo con cordoni viola, il verde iridescente del misterioso personaggio in primo piano sulla destra (forse San Giuseppe), il quale volta le spalle all’osservatore e sembra guardare il vecchio barbuto in piedi che indossa un cappello a larga tesa e si appoggia su un lungo bastone (quasi probabilmente si tratta di San Giacomo o, secondo alcuni, del Beato Leone, compagno di San Francesco).
Ma sono soprattutto i ritmici “balzi” della luce da una spalla all’altra dei personaggi, tutti colti in atteggiamenti spontanei e “veri” (si noti la spalla graziosamente nuda della Madonna), a conferire calore e “tattilità” al dipinto, allo stesso tempo infondendogli pathos e un drammatico presentimento della futura fine di Gesù.
Per concludere, vogliamo citare le sorprendenti parole di un ateo radicale quale fu Jean-Paul Sartre che nel Natale del 1940 scrisse a proposito dei sentimenti della Madonna dopo il parto: «Cristo è suo figlio, carne della sua carne e frutto delle sue viscere. Ella lo ha portato per nove mesi e gli darà il seno e il suo seno diventerà il sangue di Dio (…). Ella sente insieme che Cristo è suo figlio, il suo piccolo, e che egli è Dio. Ella lo guarda e pensa: “Questo Dio è mio figlio. Questa carne divina è la mia carne. Egli è fatto di me, ha i miei occhi e questa forma della sua bocca è la forma della mia. Egli mi assomiglia. È Dio e mi assomiglia!”».
Come ci mostra in modo perfetto questa tela del Caravaggio, Maria qui sembra davvero consapevole di avere dato alla luce il suo Dio bambino, un Dio che continuamente si fa piccolo per rivelarci quanto il suo amore sia grande.