Ci sono molti modi”¦
Osannata e glorificata dagli addetti al settore e dagli appassionati, svilita al rango di fenomeno frivolo e superficiale da più menti eccelse, additata come il trionfo dello spreco e del materialismo da chi non condivide l’entità del giro d’affari messo in atto da un’industria, la cui ratio rimane ancora oscura a molti.
Come ogni manifestazione dell’umano ingegno, la moda trova i suoi sostenitori e i suoi detrattori, in una continua lotta per l’affermazione di cosa sia giusto o sbagliato e in un’ottica di priorità umane e morali.
Scrivendo per una rivista di moda e nutrendo evidentemente una grande passione per tale settore, sarebbe ipocrita e quanto mai falso additare e stigmatizzare le dinamiche trainanti tale mondo. Nonostante ciò, mi sembra interessante e doveroso cercare di andare a fondo, allo scopo di capire cosa significhi davvero, ad oggi, il termine moda e quali siano le ripercussioni sociali ed umane di questo contraddittorio, ma affascinante fenomeno.
Al di là delle innumerevoli sfaccettature economiche, stilistiche e più in generale attinenti all’attuale realtà industriale del fenomeno, credo sia interessante capire da dove effettivamente una precisa moda o tendenza si origini e quale sia il processo che la conduce ad una progressiva diffusione ed accettazione per poi condannarla ad un inevitabile declino.
Lasciamo per un attimo in secondo piano la comune convinzione che siano gli stilisti, unitamente alla grande macchina economica del tessile, ad imporre e successivamente decretare la fine di un trend, con l’obiettivo di favorire l’incessante susseguirsi di nuove proposte e garantire in tal modo l’inesauribilità della gigantesca industria della moda. A questo punto, quali sono le dinamiche che conducono noi consumatori e aficionados a ritenere l’adozione di un preciso stile un tratto saliente della nostra identità pubblica e privata?
Arduo rispondere, soprattutto considerando l’infinità di domande che un tale assunto provocherebbe in relazione ai nostri quotidiani comportamenti di consumo e alle ripercussioni sociali e psicologiche che essi stessi producono.
La moda è diventata un tratto saliente della nostra vita e della nostra società, inutile negarlo, non solo all’interno del suo ambito per eccellenza, quale è l’abbigliamento, ma anche nei più disparati e impercettibili confini della nostra quotidiana esistenza. Ed ecco che frequentiamo un particolare quartiere o un particolare locale perché in quel momento è in, organizziamo le nostre serate con una precisa cadenza perché altrimenti saremmo fuori dal giro, scegliamo come meta delle nostre vacanze luoghi esotici o metropolitani o alternativi perché sempre in quel dato momento vengono considerati destinazioni ambite e imperdibili.
Insomma, da una prima e quanto mai superficiale analisi, sembra che la nostra vita sia scandita da azioni e scelte che vengono unanimemente ritenute giuste e al passo con i tempi. Peccato però che la durata di questi fatidici “tempi” sia sempre più breve, peccato che da un anno all’altro, o peggio da un giorno all’altro, ciò che veniva considerato fashion perda la sua aurea glamour e venga relegato come fuori dallo spazio e dal tempo.
La stessa medesima logica la rintracciamo nell’abbigliamento, anzi, come detto precedentemente, è proprio da tale ambito che questo modo di approcciarsi alle cose e alla vita ha preso piede trionfalmente. Ogni anno gli stilisti ci propongono almeno due principali collezioni, che si moltiplicano esponenzialmente man mano che scaliamo i gradini della segmentazione del mercato, per arrivare ai grandi distributori del fast fashion che riempiono gli scaffali delle loro cattedrali consumistiche con proposte che cambiano ogni settimana. Ciò che acquistiamo durante la stagione corrente fra un anno potrebbe essere addirittura tacciato come demodé, costringendo i nostri deboli e facilmente influenzabili animi a sentirsi fuori luogo indossando ciò che appena pochi mesi prima dettava tendenza.
Lungi dall’essere una critica pretenziosamente moralistica o un ammonimento alla condanna del settore del fashion nella sua interezza, le considerazioni appena precedenti vorrebbero solo far luce sulle dinamiche socio-economiche che intervengono ad influenzare le scelte e i comportamenti d’acquisto di noi tutti. Ciò allo scopo di comprendere cosa sia diventata attualmente la moda e in che modo ci si approcci ad essa.
All’interno dei vari libri passati fra le mani di chi la moda l’ha studiata con l’intenzione di capirne le profonde motivazioni sottostanti, i soggetti considerati ideatori e promotori delle tendenze che annualmente mettono in moto un impressionante congegno economico e sociale sono molteplici. Il famoso Bureaux de Style, pool di sociologi, designer, imprenditori e produttori di fibre che intercettano con largo anticipo i trend futuri, unitamente ai tanto osannati e invidiati “opinion leaders” e “fashion innovators”, animi con una particolare sensibilità estetica e stilistica, ai quali si richiede di anticipare e di conseguenza influenzare le mode di anno in anno. A completamento di tale entourage potremmo annoverare la lunga serie di fiere nazionali e internazionali, la creatività dei nostri stilisti e la scoperta di nuovi materiali e nuove tecniche sartoriali da parte di chi è impegnato in un costante lavoro di ricerca. Parallelamente a tali figure, molte aziende hanno ammesso di avere all’interno dei Paesi più socialmente ed economicamente “vivi” figure incaricate di studiare “la strada”, la sua popolazione e il suo stile di vita, allo scopo di sviscerare possibili scenari futuri da presentare in passerella. Sono questi i cosiddetti “cool hunter”, nella lingua di Dante “cacciatori di tendenze”, vivida testimonianza della duplice provenienza delle mode e del vicendevole scambio fra laboratori stilistici e intuizioni di massa.
A prescindere però dalla netta importanza ricoperta da tali figure nel progressivo alternarsi delle mode e delle tendenze, è innegabile quanto il fenomeno, una volta arrivato al fruitore finale, diventi una potente arma di identificazione. Identificazione che si sviluppa non solo a livello sociale, in una complessa rete di relazioni basate molto spesso su fondamenta unicamente di superficie, ma anche sul piano privato e individuale. Il costante tentativo di far derivare la propria peculiare personalità da un’attenta e studiata costruzione del proprio corpo e della propria immagine ne è la più alta manifestazione. L’eventuale sovrapposizione delle due entità, però, potrebbe risultare in una personalità completamente artificiale, o meglio in un’identità che affonda le sue radici in valori soggetti a cambiamenti repentini e costanti.
Ovviamente tali prospettive costituiscono scenari assolutamente estremi, ma purtroppo molto più subdoli e diffusi di quanto si possa immaginare.
La moda è un meccanismo perfetto, che solo nel nostro Paese costituisce l’11% dell’intero settore manifatturiero, dando lavoro a circa un milione di persone. È uno degli ambiti in cui la ricerca costante e l’inattaccabile professionalità diventano i presupposti per una piena espressione della creatività, una creatività dalle mille sfaccettature che non cessa mai di stupire anche i critici più severi. Ma la moda è anche un fenomeno sociale di vasta portata, con evidenti ripercussioni sull’immagine e le identità individuali.
La moda necessita di essere sostenuta, amata e rafforzata, ma sempre nella consapevolezza che si tratti di un affascinante e fortemente simbolico mezzo di adornamento e piacevolezza estetica, piuttosto che un fine o una ragione di vita, che interviene a moderare le nostre scelte esistenziali.