Il “sogno americano” in un bijou
A Casalmaggiore, vivace cittadina sul fiume Po al confine tra Lombardia ed Emilia, è stato ideato un museo unico nel suo genere a livello mondiale, in quanto dedicato interamente ai bijoux, e in generale all’evoluzione dei gusti nella gioielleria moderna.
La fortunata conservazione di buona parte dei campionari prodotti tra il 1890 ed il 1960-70 dalle aziende di bigiotteria locali permette, infatti, non solo l’analisi di questa particolare manifattura, ma anche la ricostruzione della storia dell’ornamento personale nel corso di tutto il Novecento. Inoltre, offre lo spunto per un lungo, straordinario viaggio nel mondo della creatività italiana, che investe i più disparati campi d’indagine, dalla moda all’economia, dalla cultura alla società.
Si tratta, dunque, di una realtà museale specialistica, che adempie al suo compito non solo grazie all’abbondanza dei materiali disponibili, ma anche in virtù degli impeccabili allestimenti, disposti con estremo ordine e chiarezza.
I 30.000 esemplari di “gioielli” in mostra nei loro plateaux consistono principalmente in spille, collane, bracciali, orecchini, anelli, medaglie, gemelli, realizzati con materiali preziosi, semi-preziosi o non preziosi, aventi funzione decorativa e destinati a mutare secondo l’estetica delle rispettive epoche. Alla singolare raccolta appartengono anche numerosi macchinari ed attrezzi da lavoro, nonché decine di foto, memoria storica del “secolo d’oro” della città padana.
Oltre al mercato nazionale ed europeo, le aree verso le quali si indirizzava prevalentemente la produzione di bijoux casalaschi – per lo più destinati a clienti di fascia medio-alta – erano il Medio Oriente, il Sud e Centro America. A tali mercati rimanda con tutta evidenza la presenza negli espositori di articoli i cui modelli o le cui decorazioni riproducono particolari stilistici e simbolici completamente estranei alla tradizione europea. Questo tipo di prodotto, infatti, era concepito e realizzato espressamente per acquirenti delle colonie d’oltremare (lo sfruttamento di questo nuovo segmento è un buon esempio ante litteram delle attuali analisi di mercato!).
Il fattore determinante, che rese possibile la trasformazione delle piccole botteghe artigiane locali in aziende importanti, fu la messa a punto di un processo tecnologico avanzato, vale a dire la produzione di lastre metalliche placcate con oro, arte di cui fu pioniere e massimo esperto mondiale l’industriale milanese Giulio Galluzzi, il quale appunto a Casalmaggiore avviò le prime imprese del genere.
Il materiale esposto nel Museo (che ha sede presso un magnifico ex-convento dei Barnabiti) parte cronologicamente dal periodo eduardiano: si possono quindi ammirare ornamenti in stile “ghirlanda”, delicati e leggeri come trine, nei quali prevalgono argento e strass per motivi raffiguranti animali, fiori, cesti, cuori. A questa tendenza, subentra poi, sul volgere del secolo, una nuova fonte d’ispirazione, uno stile freschissimo, l’Art Nouveau, le cui linee sinuose vengono applicate non solo ai gioielli, bensì anche all’architettura ed a molti altri oggetti d’uso. La premessa allo sbocciare dell’Art Nouveau è il movimento inglese dell’Arts & Crafts di William Morris, il quale favorisce, tra l’altro, il recupero dello smalto, non prezioso ma eccezionalmente duttile: varie sono a Casalmaggiore, infatti, le esemplificazioni di queste due tendenze, specie per quanto concerne gli influssi floreali.
Un nuovo forte impulso alla produzione di bijoux deriva, poi, dall’Art Déco definitivamente consacrata dalla Mostra Internazionale delle Arti Decorative ed Industriali Moderne, tenutasi a Parigi nel 1925: in virtù di questo trend anche per i gioielli sorge una nuova concezione dei volumi, geometrica nelle forme e stilizzata nei motivi decorativi. A ciò si abbina l’impiego di metalli insoliti come il ferro, il nichel ed il cromo, mentre materiali semi-preziosi o poveri vengono utilizzati per accessori femminili quali portacipria e portasigarette.
Successivamente, nel 1922 il rinvenimento archeologico in Egitto della tomba di Tutankhamon, ricchissima di gioielli, scatena la moda “faraonica”, visibile soprattutto nel nuovo modello del bracciale “alla schiava”.
Negli anni ’30 è l’America hollywoodiana a diventare modello di riferimento nel campo del bijou di fantasia: i motivi si fanno appariscenti ed esuberanti, le pietre sintetiche (specialmente a taglio cabochon) giocano un ruolo fondamentale e perfino le plastiche godono di strepitoso successo, adattandosi con estrema flessibilità al processo di lavorazione industriale. A Casalmaggiore, accanto ad una bella serie di oggetti in stile hollywoodiano, è altresì presente un’originale collezione di ciondoli in materiale plastico riproducenti i primi personaggi dei fumetti, come il celeberrimo Signor Bonaventura, e dei neonati cartoni animati, nonché le targhette pubblicitarie smaltate. Arriva poi il momento delle spille patriottiche, segno di solidarietà femminile per gli uomini impegnati in guerra, mentre con l’avvento del regime autarchico la produzione nazionale è necessariamente indotta a privilegiare l’impiego di materiali “poveri”.
Ma dopo gli anni angosciosi degli eventi bellici, si torna più che mai alle frivolezze della moda, sebbene in tale campo sia la Francia la nazione egemone: sarà proprio Christian Dior, in effetti, ad utilizzare per primo un nuovo tipo di pietra in cristallo creato da Swarovski, battezzata “Aurora Borealis” per i suoi colori iridescenti. Nel Museo di Casalmaggiore è possibile visionare un’intera campionatura di questi cristalli dell’azienda austriaca che, all’epoca del massimo fulgore della bigiotteria casalasca, spediva nella cittadina lombarda vagoni e vagoni di vetri multicolori simulanti le pietre naturali e strass incolori ad imitazione del diamante.
In seguito, con l’incalzare degli anni Cinquanta e Sessanta e la conseguente rapida evoluzione economica e sociale della realtà italiana – mentre si assiste al trionfo del bijou made in Italy come prodotto di haute couture per merito di grandi firme del settore – il movimento hippy stimola la creazione di ornamenti pseudoetnici, di forme astratte e spaziali, che vengono realizzate con materie di scarso pregio, metallo o plastica. Anche la produzione casalasca si adegua alle nuove tendenze, benché sul suo ormai inesorabile calo di vendite incida, più che la rivoluzione nel gusto, la forte concorrenza esercitata da Paesi stranieri emergenti, come India ed Estremo Oriente, che beneficiano dei bassi costi della manodopera.
L’industria casalasca del bijou tramonta così definitivamente negli anni ’60, dopo aver incarnato per decenni l’ideale del sogno americano.