Intervista ad Antonio Marras Parte II
Antonio Marras esprime la sua creatività con linee proprie, quella di Alta Moda nella quale ha debuttato nel ’96 ad AltaRoma, e quelle del pret-à- porter: la prima Antonio Marras , I’M un acronimo che significa Io sono ma significa anche ISOLA MARRAS , rivolta ad un pubblico giovane; il Laboratorio-Serie Limitata con capi prodotti in Sardegna, cui si affianca il Laboratorio, quasi una “stanza” sperimentale prima di affrontare la produzione industriale dei capi. Lo stilista è inoltre direttore artistico del marchio Kenzo. Grandi le suggestioni che connotano le sue collezioni.
La collezione come narrazione. Cosa vuole raccontare? E’ una storia sempre uguale che si ripete in ogni collezione o sono tante storie diverse che si costruiscono stagione dopo stagione attraverso l’ispirazione del momento?
Il racconto è una componente centrale nel mio lavoro: all’origine della mia moda c’è sempre uno spunto narrativo che funziona come molla per innescare catene di analogie visuali e di accostamenti inediti. Quando preparo una collezione, e quindi una sfilata, mi pongo sempre nella posizione di chi vuole raccontare una storia. Sono quasi sempre storie di viaggio, di trapianti ed innesti in nuovi ambienti. In un certo senso, riproduco le circostanze affettive e culturali dalle quali scaturisce la mia esperienza creativa.
La sfilata è un momento importante, è il coronamento di una bellissima fatica dove si snodano investimenti ed energie. E’ il momento apice del mio lavoro, ogni volta sento l’urgenza di esserne travolto! Sono uno che ha bisogno di forti emozioni per sentirsi vivo, sono un romantico alla “Sturm und Drang”: non posso limitarmi a costruire una collezione, devo farla vivere. La sfilata è il palcoscenico dove rappresento il mio mondo.
Le sue collezioni hanno abiti pieni di dettagli, ricami artigianali, di accessori tratti da epoche più lontane (penso ad esempio alla collezione P/E 2010). La tradizione, il passato a volte sembrano presenti nel mondo di Marras più del presente. E’ vero questo? Oppure cerca di distrarre dal presente attraverso le forme trascorse?
Memoria sono le radici, ciò di cui sei fatto e da cui provieni. Non c’è futuro senza memoria. Io prendo spunti continuamente e traggo a piene mani, spesso inconsciamente, dalla tradizione in cui sono cresciuto e di cui sono imbevuto, ma rileggo tutto attraverso i miei occhi, che sono quelli di una persona che vive nel presente.
Le sue collezioni sono peculiari espressione di una creatività che lo fa attualmente l’unico stilista con S maiuscola nel panorama italiano. Quanto conta nelle sue creazioni il risvolto economico, la possibilità di vendere?
Credo ci sia molta confusione circa il termine commerciale, che spesso viene erroneamente utilizzato in senso spregiativo: nel fashion si indica come commerciale tutto ciò che è facilmente comprensibile, di bassa qualità, dozzinale. In questo senso, sono felice di non essere commerciale. Ma non accetto di essere dipinto come la caricatura del designer che vive nella torre d’avorio della moda, disinteressato a ciò che accade sulla terra e preso unicamente a creare abiti che nessuno potrà indossare: non ho mai perso di vista, e guai se fosse così, che il fine ultimo di ogni abito non è solo quello di affascinare, colpire il cuore di chi lo guarda, far sognare ma anche essere acquistato ed indossato.
Cosa esprime, cosa vuole comunicare/narrare con le sue varie linee “Il laboratorio”, “Antonio Marras”, “I’M-Isola Marras” ?
Il laboratorio non è una vera e propria linea a se stante, ma piuttosto una “stanza” per sperimentare quello che svilupperemo in maniera più “seriale” nella Antonio Marras. Con I’M Isola Marras, invece, sono riuscito a realizzare un desiderio che avevo da tempo: ampliare il mio discorso verso un pubblico più vasto rispetto a quello che fin qui ha apprezzato le mie prime linee, offrendo un prodotto che avesse il giusto rapporto qualità/prezzo.
Nella nuova linea si ritrovano tutti i codici che hanno caratterizzato fin dall’inizio il mio discorso: ricami, lavorazioni, decorazioni, utilizzo di più tessuti e fantasie in un unico capo. Tuttavia, pur mantenendo le mie radici ed il mio stile, la nuova linea è caratterizzata da un’identità forte e precisa che la distacca nettamente dalla prima linea di pret-a-porter. E’ una linea completa nell’offerta (la collezione comprende anche scarpe e borse), una versione più casual e facile da portare della donna Marras, un abbigliamento veramente quotidiano. E’ una collezione sfiziosa, allegra, frizzante, che non si prende troppo sul serio: del resto, sulle etichette, sulle fodere, da qualche parte su ogni singolo capo è presente Pepeddu, il cagnolino simbolo del marchio.
“Il laboratorio”. Ci spieghi bene di cosa si tratta. Quanto ha influito sulla creazione di questa linea il fatto di vivere in Sardegna e poter utilizzare una manodopera ancora di stampo artigianale?
Le collezioni che portano il mio nome si dividono in due parti: i capi con etichetta “Laboratorio – Serie Limitata”, che vengono prodotti in Sardegna, e quella con etichetta “Antonio Marras”, prodotti “industrialmente” dalla Gibò.
La linea “Laboratorio” è una produzione semiartigianale che viene realizzata in Sardegna, a Ittiri, un piccolo paese vicino ad Alghero. Qui ho trovato delle sarte e ricamatrici di una bravura straordinaria, ma che avevano quasi dimenticato il valore di ciò che sapevano fare, della tradizione che avevano alle spalle. Io ho cercato di ridargliene il senso, e al tempo stesso ho insegnato loro a trasgredirne le regole per reinventarla di volta in volta. “Laboratorio” è davvero un laboratorio, nel senso che qui si sperimentano soluzioni che verranno poi riprodotte, con le modifiche del caso, nella produzione industriale di grande serie: trattamenti – e maltrattamenti – particolari delle stoffe, decostruzione e rimontaggio dei capi, ecc.
I capi di “Laboratorio” sono pezzi unici, riproducibili ma irripetibili. Unici, perché un ricamo fatto mano non sarà mai identico ad un altro. Certo, di questi capi non siamo in grado di produrre enormi quantità, ma per ogni stagione riusciamo a realizzare in Sardegna, grazie ad una serie di artigiani e laboratori che lavorano con noi, anche 10.000 pezzi di una stessa camicia ricamata. Alcuni di questi capi, poi, nascono da capi vintage che vengono ricamati, smontati, dipinti, sezionati e riassemblati: in questo caso, è ancora più facile comprendere il contenuto di unicità di questi capi. La parte prodotta industrialmente segue i criteri produttivi di una normale collezione di pret-a-porter, ma condivide lo stile e l’ispirazione dei capi di Laboratorio; infatti, le due parti si mischiano e si complementano nel momento della sfilata.
Dal 2003 disegna la collezione Kenzo. Cosa c’è di Marras in queste collezioni? Quanto Antonio Marras deve dimenticare le sue radici per interpretare al meglio Kenzo?
Come potrei “dover” dimenticare me stesso per disegnare una linea? Sarebbe forzato e di certo fallimentare.
Quando sono stato contattato da LVMH che mi proponeva la direzione artistica di un marchio storico come Kenzo, dopo un primo attimo di smarrimento ho pensato che, in fondo, condivido con Kenzo Takada un fatto fondamentale: tutti e due proveniamo da un’isola “¦ In questi anni di lavoro per Kenzo non ho mai pensato, né avuto la pretesa, di “inventare” qualcosa.
Ho solo cercato di rispettare lo spirito originale del marchio. Kenzo amava parlare di antimoda, intesa come capacità di disimparare i diktat della moda, le cosiddette bibbie del buongusto, per imparare a vestirci come ci piace e non come ci impongono. Questo è un concetto che ho sempre sentito mio, anche nelle mie collezioni e ben prima di affrontare l’avventura Kenzo: e forse è questo il principale tratto comune.