Poesia di Moda
“Aveva cucito vesti / a donne e regine. / Decise infine / di rammendare /l’anima. / Buona vista, grande cuore / e mano delicata / per riannodare invisibili fili, / per riportare a tenuta / una stoffa lisa / e molto preziosa”. Questi versi bellissimi sono stati dedicati ad una sarta dalla sensibile poetessa parmigiana Ida Albianti.
C’è tanta poesia, in effetti, nella creazione di un abito, così come c’è tanta poesia in chi ama davvero la moda nella sua essenza, ovvero nel suo consistere in un’espressione alta di arte, di sentimento, di cultura, di operosità, di vita. Se amiamo profondamente la poesia, non potremo non amare la moda nella sua accezione migliore, in quanto essa stessa “lirica”.
Eugenio Montale, quando gli venne conferito il Premio Nobel per la letteratura nel 1975, affermò che la poesia è “un prodotto assolutamente inutile, ma quasi mai nocivo e questo è uno dei suoi titoli di nobiltà”. E allora perché da millenni l’uomo “sciupa” tempo e risorse a scrivere e recitare poesie”¦ nonché a ideare fogge vestimentarie diverse? Perché non ci basta la prosa?
Karol Wojtyla, che oltre ad un papa “magno”, fu anche un egregio poeta, si dichiarò convinto che la poesia potesse costruire ponti e vie di salvezza per “chi ha le ali legate”. Si badi, non ha parlato della preghiera come fonte di salvezza, ma della poesia, in termini laici. Forse si riferiva al fatto che con la poesia aiutiamo l’anima a restare pronta e vigile – come avrebbe detto Martin Buber – “fin che sorgerà l’aurora e una strada si mostrerà ai nostri occhi là dove nessuno la supponeva”.
Passando dal sacro al profano, potremmo richiamare il mito di Amore e Psiche, la cui morale ultima è: “Non videbis si videris / Vere videbis si non videris”, per cui vedremo la verità solo se non vedremo con gli occhi della testa, bensì con quelli della mente e del cuore. Spostandoci ad un altro mito, abbiamo mai pensato che Medusa potesse rappresentare la fantasia poetica che non si riesce a vedere, ma che rende reali, solide come pietre, le illusioni più alte e più folli?
Ezra Pound riconosceva in ciò l’intento della poesia: “To fill up chaos (riempire il caos), populate solitudes (popolare le solitudini), multiply images (moltiplicare le immagini) /”¦ And thence to God (per giungere quindi al Divino), / To the ineffable (verso ciò che è indicibile)” e poi citava in latino Dante: “Trashumanar non si potria per verba”: con le parole non si potrebbe andare oltre i limiti umani. William Blake, d’altro canto, ci avrebbe portati “To see a World in a Grain of Sand, / And a Heaven in a Wild Flower”, a vedere il mondo in un granello di sabbia e il cielo in un fiore selvatico. Parimenti un altro papa, Paolo VI, sosteneva che la poesia, come qualsiasi altra forma di arte, può essere la “sofferta testimonianza di una tragica assenza, il bisogno insopprimibile di qualcosa, meglio di Qualcuno, che dia senso all’effimero, all’altrimenti assurdo agitarsi dell’uomo nel tempo e nello spazio di questo mondo finito”. Sembra fargli eco la poetessa russa Marina Cvetaeva dichiarando: “La mia esperienza della poesia”¦ mi ha fatto sentire qualcosa o Qualcuno che dentro di me vuole disperatamente essere”. François Mauriac avrebbe concluso che la poesia è “il nodo d’oro divino che tiene insieme tutte le cose”.
Il poeta puro (e con lui lo stilista di moda puro), in quest’ottica, è anche un profeta, ma non nel senso che formula pronostici: in effetti, egli “vede dentro”, “intuisce” le cose e, dunque, la sua è una visione sul piano della realtà ultima, visione illuminata di senso. Il greco Titos Patrikios ha scritto due versi stupendi: “La poesia cerca risposte / a domande non ancora fatte”.
Non pensiamo, con questo, che il poeta sia una sorta di “super-uomo”, tutt’altro: è solo meno inorridito della solitudine e di se stesso, per cui osa guardare ed ascoltare, guardarsi ed ascoltarsi: si rifiuta di liberarsi della sua coscienza, della sua ragione e delle sue emozioni, è insomma “un uomo che si volta” (come lo definirebbe Montale), mentre gli altri scelgono il “rumore” e l’esibizionismo isterico per esorcizzare la paura del mondo e di se stessi, la sfiducia nella vita e nel futuro.
In realtà il poeta, con la sua sensibilità acuta, avverte più di tutti la “voce del silenzio e se ne fa interprete, parlando per tutti e per ognuno, incontrandosi anche solo per un attimo col sentimento universale. E fa ciò senza sapere chi sia il suo vero destinatario, tuttavia ponendolo al centro del mondo, fra tutti gli altri uomini.
Nell’epoca odierna caratterizzata da un consumismo esasperato e dalle aberrazioni dei mezzi di comunicazione di massa, ogni verso che nasce (ed ogni bell’abito che viene creato) appare tuttavia sempre più un “miracolo”, come un fiore, un profumo od una melodia che si diffondano inattesi dall’Orto delle Muse nei pressi di una tangenziale o in uno talk-show televisivo. Eppure questo fiore nasce ancora e nascerà sempre, liberando il suo profumo nell’aria deserta, libero, ignorando per fortuna che – come scrisse Emily Dickinson – “essere un fiore è profonda responsabilità”.
Per concludere, vorrei citare quanto della poesia ha colto Franco Loi, poeta milanese contemporaneo: “La poesia”¦ è imprendibile e presente come l’aria che respiriamo e passa sconosciuta tra noi e ci siamo dentro come pesci nell’acqua e proprio per questo non vi prestiamo attenzione. Forse è bene che sia cos씦 Del resto, si difende da sola, perché ciò che non si può dire è poesia”¦ Tanto che i Greci l’hanno definita con un verbo: fare. Destino assurdo il suo: vivere tra le parole, darsi corpo di parole e rimanere nascosta e indifferente ad esse”¦ La poesia – lo diceva Ungaretti – è una preghiera che bussa a una porta fatta di legno, inconcepibile alla nostra ragione. Ma io dico che è preghiera e insieme oggetto di preghiera, ed è nell’unità tra la preghiera ed il suo oggetto che si sostanzia la parola, proprio come nella vocazione alla divinità”. Ed è pure in questa unità che si sostanzia ogni splendido abito che viene realizzato.
Chi può, allora, scriva poesie (e concepisca abiti incantevoli), anche solo per lasciarle in un cassetto, o almeno ne legga, e si lasci librare in cielo: “Le mani una volta erano ali / Per questo ora, mentre scriviamo, voliamo” (versi della poetessa croata Lidja Vukcevic).
Ecco perché , quando cogliamo “il bello e il buono” in un abito, anche noi voliamo.